Waves

Wave diventa plurale: Waves. È allo stesso tempo una dichiarazione di assetto e un programma. Wave si declina al plurale nel proprio assetto perché plurali sono i punti di vista messi in campo. L’edizione 2023 è il primo appuntamento di una nuova esperienza collettiva, dove le molteplici discipline del progetto, che articolano la didattica e la ricerca dell’Università Iuav di Venezia, lavorano fianco a fianco. Ai workshop di architettura, forti di uno storico di ventuno edizioni, Waves affianca una molteplicità di azioni interne alle arti, al design, alla moda, alla pianificazione e all’urbanistica, al teatro e alle arti performative, espressione dell’offerta formativa dell’ateneo. A caratterizzare l’impianto complessivo è la dimensione del workshop come processo, sottolineando l’importanza della documentazione e della restituzione dei lavori in corso d’opera. Un’attenzione alla sostenibilità ambientale, sociale, culturale e di genere accomuna progettisti e professionisti nella conduzione dell’attività laboratoriale, in direzione di un progetto condiviso. È l’inizio di una nuova dimensione collettiva e polifonica, per una scuola fermamente intenzionata a esplorare la multidisciplinarietà. Una nuova dimensione sperimentale, propositiva e operante, capace di confrontarsi con le sfide di una didattica che sa essere innovativa senza rinunciare alla profondità, dialogante senza annullare le specificità, fluida senza perdere carattere.

 

Wave si declina al plurale anche nel titolo dell’edizione, Waves, richiamando le onde di marea che, lente ma implacabili, tornano giorno dopo giorno a bagnare Venezia. Onde placide e quasi impercettibili, che calano e crescono silenziosamente, rimanendo sullo sfondo del paesaggio lagunare. Ma anche onde antagoniste, che premono, scalzano e, ostinatamente, erodono. E di tanto in tanto, non sempre prevedibili, esondano in tutta la loro esuberante presenza, sommergono la città, dilagano nel quotidiano. Le peculiarità della città di Venezia si collocano all’origine di una riflessione sulle sfide poste dall’insediamento e dalla vita in prossimità dell’acqua, tema centrale di questa edizione. Acqua, o meglio acque, declinato al plurale, che nel mondo contemporaneo si danno in quantità e forme sempre più squilibrate, come indifferenti al principio dei vasi comunicanti, manifestandosi piuttosto attraverso estremi: acque strumentali, necessarie alla vita, che scarseggiano; e acque pericolose, che si danno in quantità problematiche, verso cui è necessario approntare sistemi di difesa. Scarsezza ed eccesso, siccità ed esondazioni, sono divenute ormai condizioni non più eccezionali nel mondo contemporaneo: costituiscono piuttosto un riferimento ricorrente e prevedibile nel dibattito sul futuro di molte città e di molti territori, dove esigenze di protezione e la consapevolezza della necessità di ripensare in modo sostanziale le forme insediative costituiscono i due poli di un unico discorso, volto a ripensare le possibili condizioni di sostenibilità per il nostro stare al mondo.

Wave 2023 si focalizza sull’innalzamento del livello del mare, sui sistemi di difesa o di adattamento necessari, e sugli effetti sul territorio e gli insediamenti. Attraverso il lavoro degli atelier sono esplorate le molteplici sfaccettature secondo cui è possibile guardare al tema generale, affrontandone la dimensione progettuale ma anche le possibili declinazioni metaforiche. I workshop di architettura si focalizzano su casi studio di scala mondiale, dove è ragionevole pensare che già ora, o nell’immediato futuro, si renderanno necessari interventi di difesa dall’acqua alta. Prendendo lo spunto dalla recente esperienza veneziana delle grandi opere del Mose alle bocche lagunari, i lavori si iscrivono entro una storia più lunga e ampia di interventi, attuati in molti altri territori per affrontare i problemi dell’alta marea e dell’intromissione del mare nella terraferma. L’obiettivo è esplorare come istanze simili a quanto accade nella laguna di Venezia possano o debbano essere un’occasione per ripensare i territori e i nostri paradigmi insediativi. Più che risolvere gli aspetti di natura ingegneristica, tentando soluzioni che sarebbero fuori luogo in questo contesto, il centro dell’esperienza è la costruzione di un dibattito collettivo, a cui contribuiscono in modo sostanziale i workshop paralleli centrati sul design, sulla moda e sulle arti multimediali e performative nell’ottica di un’edizione di Wave intesa come laboratorio dove costruire nuovi immaginari, delineare visioni inedite per città e territori, riaffermando il contributo strategico che le culture del progetto portano nei processi di trasformazione dell’orizzonte contemporaneo.

 

Venezia non è soltanto lo straordinario contesto che ospita Wave 2023. Attraverso la sua storia e il suo presente rappresenta un potente riferimento e uno straordinario laboratorio a cielo aperto. A Venezia il continuo movimento ondulatorio delle acque ha da sempre condizionato la vita, fin dalla fondazione in un luogo inconsueto quanto inospitale. A fronte di uno stillicidio di costanti e mai esauribili necessità di manutenzioni, la storia della città si è destreggiata tra il quotidiano prendersi cura, inevitabile quanto frustrante, e l’attitudine alla sperimentazione: dalla scala più minuta, volta a preservare un patrimonio edilizio eccezionale, fino alla dimensione vasta del complesso e apparentemente inestricabile palinsesto idrografico in cui si situa. Wave 2023 parte da Venezia ma ha una vocazione e una proiezione internazionale, abbracciando casi studio connessi a contesti, città e progetti su scala globale. Si inserisce nello spazio cittadino – laboratorio nel laboratorio – e rappresenta una nuova forma di esplorazione multidisciplinare e multiscalare, capace di assumere e reinterpretare le sollecitazioni che arrivano dalla contingenza, suggerendo visioni inclusive, orizzontali e sostenibili.

 

Il volume è articolato in tre sezioni, autonome ma in dialogo tra loro.

La prima avvicina un testo inedito dello scrittore Tiziano Scarpa e un saggio visivo del fotografo Matteo de Mayda: due prospettive autoriali convergono sulla relazione tra la città di Venezia e l’acqua della sua laguna. Il testo, prodotto da Scarpa appositamente per il volume, elabora un catalogo delle onde – piatte, laminari, meccaniche, specchianti, sgretolatrici, isteriche, relazionali – e riverbera nelle immagini di De Mayda, autore attento a documentare e a raccontare Venezia, la sua atmosfera sospesa e la sua laguna. Fotografie realizzate in precedenza per pubblicazioni e riviste internazionali sono affiancate a una nuova serie, pensata specificamente per queste pagine.

La seconda sezione parte dall’esperimento del Mose per allargare lo sguardo al mondo. Si tratta di una ricerca geografica e morfologica che ha come obiettivo quello di individuare i luoghi che nel futuro prossimo potrebbero necessitare di interventi simili a quello attivato in laguna. La ricognizione sulla potenziale replicabilità del Mose estende un dibattito connesso alla sua dimensione sperimentale, che insiste sul suo carattere innovativo nell’ottica di una condivisione dei saperi, inserendosi in una lunga tradizione italiana di costruzione di opere ingegneristiche dal forte valore territoriale. Seguendo quest’idea, il primo passo è stato costruire un atlante capace di ricondurre l’unicità del caso veneziano a territori che ne condividono parzialmente le caratteristiche morfologiche e insediative e che correranno nel prossimo futuro pericoli simili dovuti all’innalzamento marino. Il risultato – in questo momento ancora parziale e che necessita di ulteriori verifiche – prende forma in una raccolta di oltre cinquanta carte che mostrano luoghi nel mondo dove progetti simili al Mose consentirebbero di garantire un futuro di adattamento senza dover ricorrere a soluzioni dirompenti di modifica a scala geografica. I docenti coinvolti nell’edizione 2023 di Waves sono chiamati a operare su questi o altri luoghi.
Andare oltre l’idraulica è l’obiettivo della sezione conclusiva, che presenta una narrazione per immagini. L’obiettivo è quello di esplorare i vari immaginari legati all’acqua in molteplici contesti storici e orizzonti culturali. Questo elemento, già storicamente stimato come il più necessario alla vita sulla Terra, rende possibile un racconto trasversale, dai percorsi molteplici nel tempo, nella storia, nello spazio. Sono tagli, frammenti, evocativi della dimensione per noi incommensurabile dell’acqua.

Atelier

Nabeel Al Kurdi, con Diogo Lopes e Sara Pertile

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Marine Science Station, Aqaba Jordan

26.06 / 14.07.2023 – aula O1

Il Golfo di Aqaba (GOA) è unico in quanto contiene una percentuale significativa della biodiversità marina naturale del mondo. Questo ambiente unico è potenzialmente vulnerabile all’inquinamento, in particolare nella sua punta settentrionale. Una delle principali attività che interessano l’ambiente del golfo sono gli impianti di dissalazione artificiali che estraggono l’acqua di mare e smaltiscono la salamoia desalinizzata.

La zona economica speciale di Aqaba (ASEZ) copre un’area di 65 chilometri quadrati, che si estende lungo l’intera costa giordana del Mar Rosso di 27 chilometri. Creare un forte senso di identità regionale, carattere, qualità e attrazione per Aqaba richiede il coordinamento del design esterno in tutta l’ASEZA. I criteri di progettazione forniti in queste linee guida forniscono parametri per la pianificazione del sito, l’architettura, il paesaggio, l’illuminazione, la segnaletica e la manutenzione che devono essere seguiti da ogni progetto per garantire questo coordinamento progettuale.

La “Marine Science Station” (MSS) è stata fondata a metà degli anni ’70 come istituto di ricerca interuniversitario (The University of Jordan e Yarmouk University). Uno degli obiettivi principali della creazione della MSS era quello di creare una struttura di ricerca marina per scienziati e studenti post-laurea. La dimensione del terreno della stazione è di circa 35.000 metri quadrati. Gli edifici sono stati tutti costruiti in modeste dimensioni, sparpagliati, e contengono: laboratori, una mostra di biologia marina, uffici amministrativi, un’unità di itticoltura, un’unità di diving, un’unità per imbarcazioni con due scivoli di alaggio, uffici dei ricercatori, strutture sanitarie pubbliche per i visitatori, una biblioteca, un piccola ristorante e un parcheggio auto. Diversi sondaggi e incontri con amministratori pubblici e locali ad Aqaba, hanno suggerito un cambiamento radicale dello spazio in quanto divenuto inadatto alle reali esigenze previste, in particolare l’acquario, l’unico in tutta la Giordania.

Secondo studi specializzati, le correnti di marea e il livello dell’acqua nel golfo di Aqaba mostrano fortemente gli effetti della componente remota. I livelli dell’acqua riflettono le componenti remote, con variazioni annuali dell’altezza della superficie del mare nel golfo guidate dall’assetto indotto dal vento nella parte principale del Mar Rosso, sebbene anche i venti nel golfo stesso siano importanti. La difesa a lungo termine preferibile contro gli effetti delle maree tempestose sulle nuove comunità è evitare il rischio attraverso la pianificazione dell’uso del territorio. Tuttavia, laddove le comunità sono già stabilite in aree a rischio di marea, la progettazione e la costruzione resistenti alle inondazioni possono limitare i costi a lungo termine per i proprietari di case, riducendo i costi previsti associati ai danni da alluvione e ai premi assicurativi.

Il nuovo progetto suggerirà una nuova stazione di scienze marine che consideri gli spazi attuali e suggeriti simulando il reale bisogno di Aqaba e della regione, e che dovrebbe includere un acquario distinto che rifletta la vera ricchezza del Mar Rosso e un luogo adatto per i giordani per godere della bellezza della vita marina che vi si trova.

Poiché Aqaba è considerata un’estensione della Valle del Giordano “la regione con la temperatura più alta del paese”, il progetto proposto evidenzierà concetti e approcci progettuali che possono essere presi in considerazione per mitigare il rischio correlato al riscaldamento climatico, compreso l’aumento delle temperature e altro ancora, come frequenti estremi di caldo e freddo. Sono presentati qui nella speranza che gli studenti approfondiscano queste soluzioni e le adattino alle condizioni locali. La progettazione degli edifici può affrontare i problemi idrici in diversi modi, considerando il tipo di materiali utilizzati e il modo in cui l’edificio è disposto o configurato.

Atxu Amann Alcocer, Andrés Cánovas Alcaraz, Nicolás Maruri Mendoza, con David Jiménez Iniesta

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Atxu Amann Alcocer, Andrés Cánovas Alcaraz, Nicolás Maruri Mendoza, con David Jiménez Iniesta

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S.L.O.W.* _Patti per una convivenza più che umana nelle lagune di Mar Menor e Venezia (* Silenziosa, Lenta, Altra, Wave)

26.06 / 14.07.2023 – aula E

A volte, ciò che gli esseri umani percepiscono come un problema è semplicemente la conseguenza del nostro modo di vivere. Quando l’emergenza diventa imminente, cerchiamo di resistere per mantenere i nostri modi di abitare. Di fronte a ciò, ogni conflitto può essere visto come un’opportunità per cambiare le nostre abitudini e sviluppare una riflessione critica che ci permetta di guardare la realtà in modo un po’ più interessante.

La Laguna di Venezia e la Laguna di Mar Menor sono due ecosistemi remoti che presentano notevoli analogie geografiche. Entrambi hanno origine geologica nella formazione di barriere sabbiose che li isolano dal mare aperto ed entrambi sono ecosistemi fortemente antropizzati e sensibili ai cambiamenti climatici.

Da un lato, con una superficie di 136 chilometri quadrati , il Mar Menor è la più grande laguna permanente di acqua salata d’Europa. Situato nella regione di Murcia, rappresenta uno degli ecosistemi acquatici più importanti del continente. Ha una forma semicircolare ed è separata dal Mediterraneo da un banco di sabbia lungo 22 chilometri e largo da 100 a 1200 metri, noto come La Manga. L’ecosistema è rimasto praticamente immutato fino alla metà del XX secolo, ad eccezione di piccoli insediamenti di pescatori. L’eccessivo sviluppo di La Manga, a partire dal 1963, ha considerato la natura come un bene e ha puntato su un’economia basata sul turismo. Riconosciuta nel 1973 come area specialmente protetta dalle Nazioni Unite, la laguna è oggi sull’orlo del collasso ambientale per diverse cause. La causa principale è l’eutrofizzazione delle acque causata dallo scarico delle acque reflue urbane e agricole e dei rifiuti attraverso le ramblas (alvei secchi). Altri fattori che contribuiscono sono l’aumento dell’acquacoltura e dell’urbanizzazione, l’impatto delle linee marittime nella zona, l’apertura di canali per il traffico marittimo tra la laguna e il Mediterraneo, l’aumento delle temperature e l’innalzamento del livello del mare. Dal settembre 2022 è l’unico ecosistema europeo con personalità giuridica riconosciuta, che consente a ogni cittadino di chiedere il risarcimento dei danni causati.

Venezia è contemporaneamente una città galleggiante e una destinazione visitata da sedici milioni di turisti ogni anno. Queste due situazioni si sono normalizzate a tal punto che ogni cambiamento è visto come una minaccia. Venezia rappresenta il dominio dell’umano sul non umano. Centodiciotto piccole isole esistono sotto gli edifici eretti su piattaforme di legno conficcate nel terreno sabbioso, formando una città che doveva essere un insediamento temporaneo. Collegate da canali e ponti per gli spostamenti pedonali, la flora e la fauna del Mare Adriatico schivano le migliaia di barche, taxi, vaporetti, gondole e imbarcazioni private che inquinano le acque. Spesso la città si allaga tre ore dopo il suono delle sirene a causa del fenomeno naturale dell’alta marea. Il cambiamento climatico generato dall’uomo sta facendo sì che queste acque alte diventino più frequenti e abbondanti, e alcuni sembrano preoccupati: alcuni per gli effetti sugli interessi umani, l’impatto sul settore turistico e le perdite materiali ed economiche che rivelano una concezione antropocentrica della laguna basata su un modello di sfruttamento del territorio. Altri, tra cui noi, riconoscono la propria ignoranza e desiderano fare qualcosa, anche se non sanno esattamente cosa o come, e iniziano a chiedersi:

È possibile affrontare questa situazione apparentemente catastrofica di entrambi gli ecosistemi con un approccio più che umano? L’incorporazione del tempo come variabile architettonica potrebbe aprire la porta ad altre strategie? Possiamo incorporare voci di esperti di altre discipline per affrontare questo problema? Come possiamo dare voce alla parte non umana per raggiungere un patto di coabitazione?

Il workshop S.L.O.W._Patti per una convivenza più che umana nelle lagune propone uno sguardo decrescente e solleva la necessità di rappresentare tutte le entità eterogenee ma interdipendenti che hanno interessi disparati nelle lagune, con l’obiettivo di costruire un quadro favorevole alla creazione di strutture e reti che mobilitino accordi intorno a immaginari alternativi di convivenza. Attraverso pratiche di straniamento, analisi e registri critici dell’ambiente costruito e naturale, la comunità di apprendimento elaborerà cartografie e modelli ipermediali di approccio alla città dalla prospettiva della complessità, cercando di progettare situazioni che facilitino lo sviluppo di patti di coabitazione tra tutte le specie.

Aldo Aymonino + Giuseppe Caldarola, con Davide Bergo e Gabriele Catanzano

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Figure della catastrofe

26.06 / 14.07.2023 – aula A2

Acqua: elemento così necessario alla vita eppure così pericoloso per la vita stessa…

Negli ultimi anni il problema del cambiamento climatico ci ha fatto ragionare con frequenza e con urgenza – e certamente non per la prima volta – sulla devastante potenza rappresentata dalla sua mancanza o della sua troppa abbondanza nei tantissimi aspetti in cui interseca la nostra quotidianità.

Dai paesaggi di una Sicilia assolata e immota dei quadri di Piero Guccione, alle tempeste orride e romantiche sulla Manica, dipinte così spesso nelle tele di William Turner. Dalla ricerca ansiosa e incessante dei pozzi nel deserto che permea tutta la narrazione del film Lawrence d’Arabia di David Lean, all’acqua che ti imprigiona su un’isola nelle metafore distopiche di una società in crisi di valori raccontata nel Signore delle mosche o in Fuga da Alcatraz. Dai giardini dalle fontane stupefacenti – vero tentativo della rappresentazione del Paradiso sulla terra – dell’Alhambra o di Villa Lante, fino alla catastrofe della diga del Vajont, sino a quella, recentissima, della Romagna. L’acqua rappresenta, come forse nessun altro elemento sul Pianeta, l’ineluttabilità, il pericolo e la bellezza del nostro fragile e prepotente passaggio sulla terra.

E la disperazione delle persone in fuga da carestie, dittature e guerre, che sempre più numerose navigano su acque a noi vicinissime, riscatta traversate orribili e drammatiche con dei desideri che rappresentano la necessità della speranza in un futuro migliore.

Il valore metaforico del rapporto con l’acqua e la sua luce può e deve divenire strumento di riflessione progettuale, al di là del mero dato funzionale.

Il workshop proporrà la progettazione e la costruzione di un’installazione collettiva che, attraverso la collisione tra le forme geometriche e organiche, rappresenti un ragionamento progettuale del contrasto tra il solido e il mutevole.

Anna Maria Bordas Geli + Miquel Peiro Sendra, con Joaquin Corvalan e Anna Mocellini



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Transizione(i), Trasformazione(i), Adattamento(i), Simbiosi(i)

26.06 / 14.07.2023 – aula H

L’atelier che proponiamo nell’ambito di Wave è senza dubbio un’occasione per fare un passo indietro per poter interrogare e analizzare in maniera prospettica le modalità e le pratiche di trasformazione del territorio. Il tema proposto, dedicato all’impatto dell’innalzamento delle acque marine sul territorio costruito, evoca due possibili ragionamenti: da un lato, una riflessione sulle condizioni contemporanee della pratica architettonica, in particolare legate al cambiamento climatico. Dall’altro, mettere in discussione gli elementi fondamentali della disciplina architettonica, ovvero il tempo, la permanenza, l’adattamento, gli usi.

Quando analizziamo come il territorio è stato modellato dall’uomo nel corso della storia, troviamo sempre una sorta di atteggiamento oppositivo tra uomo e natura. Il linguaggio costruttivo lo testimonia. Diciamo che dobbiamo costruire delle difese contro le inondazioni, o contro le mareggiate… ma per difenderci da cosa? da chi? Non sarebbe più logico progettare un territorio in simbiosi con la natura? che è adattabile e non immutabile?

Queste domande ci portano alla seconda questione che vorremmo affrontare in questo workshop: il tempo. La convinzione nell’inesauribile disponibilità di energia e materia arrivata con la rivoluzione industriale ci ha portato a pensare alle città come oggetti finiti. Le Villes Nouvelles francesi prodotte nel dopoguerra ne sono un buon esempio. In questo modello l’urbanista progetta il territorio creando un modo unico e unico di costruire la città, che non è buono e coerente finché non è finito. Oggi ci sembra impossibile continuare a lavorare così. La città e il territorio devono riflettersi in fasi diverse, creando scenari di lavoro abbastanza solidi da consentire una costruzione coerente del territorio, ma allo stesso tempo sufficientemente flessibili per adattarsi a un mondo che cambia.

Nel nostro workshop intendiamo partire da queste due domande fondamentali. In questo senso abbiamo scelto di lavorare su un territorio a noi caro, l’Empordà in Catalogna e più in particolare il Golfo delle Roses.

Perché?

Innanzitutto perché la configurazione geografica e topografica è molto simile a quella di Venezia. Si trova tra due terre in uscita, con spiagge e terreni paludosi al centro che saranno molto sensibili all’innalzamento del livello dell’acqua, ma anche alla salinizzazione di aree naturali molto ricche di biodiversità.

In secondo luogo perché si tratta di un territorio che si è costituito nel corso del Novecento, inizialmente su una politica legata alla produzione di architetture legata al turismo, con operazioni immobiliari molto discutibili come la creazione di Ampuriabrava, mentre l’attuale volontà del potere politico e della popolazione è di spostarsi verso un turismo più sostenibile. Questo settore è oggi quello che contribuisce per il 60% al Pil della regione e che risentirebbe fortemente di un innalzamento delle acque marine. E infine perché è un territorio magnifico, ricco di vitalità, di buoni prodotti agricoli, di paesaggi con una vista infinita.

A livello organizzativo, il lavoro si concentrerà inizialmente sull’analisi e la scoperta del territorio, al fine di delineare una o più strategie su scala globale. In una seconda fase, il lavoro si concentrerà su 5 o 6 siti strategici di questo territorio per affrontare il problema a scala architettonica, permettendoci così di lavorare sulle forme, le costruzioni, i materiali e gli stili di vita degli abitanti.

Utilizzeremo quindi questo sito e questa occasione come pretesto per interrogarci con voi, futuri architetti, su come dovremmo reagire a questo innalzamento del livello dell’acqua: opponendoci a viso aperto? adattando? trovando soluzioni ibride? come agire da artefici nella sfida di continuare ad abitare una Terra che non è infinita per risorse ed energie?

Armando Dal Fabbro + Soohyoun Nam, con Vincenzo d’Abramo e Claretta Mazzonetto



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Ai bordi del mare

26.06 / 14.07.2023 – aula G

“Si distinguono le città con il porto e le città-porto. Nelle prime i porti sono stati costruiti per necessità, nelle altre si sono creati secondo la natura dei luoghi; qui sono una mediazione o un completamento, là l’inizio o il centro; ci sono porti che restano per sempre soltanto degli approdi o ancoraggi, mentre altri diventano palcoscenici e infine mondi.”

(Predrag Matvejevic, Mediterraneo. Un nuovo breviario, Garzanti, Milano 1993)

 

Il tema di Wave 2023 può essere interpretato come un’occasione per riflettere sulla particolare condizione urbana di alcune città, come quelle dell’Ucraina, che sono dilaniate dalla guerra e soggette a profonde crisi, fisiche e d’identità. Il grande bacino d’acqua del Mar Nero – il Pontos Axeinos, o il Pontus Euxinus nelle sue più antiche accezioni greche e latine – può essere un particolare modo di interpretare questo confronto, tra città e acqua, e può essere lo scenario possibile dove legare insieme il tema della ricostruzione e quello della difesa del suolo e delle acque.

La storia che lega il Mar Nero all’Europa è una storia antichissima e complessa, impossibile da riassumere in una determinata e ristretta esperienza seminariale e nel poco tempo a disposizione, ma che comunque permette di porre l’attenzione su alcuni fatti e su specifici temi, prendendo coscienza della complessità e delle relazioni – tra i luoghi, la loro storia e la loro cultura – che non possono essere dimenticate. Ancora una volta l’occasione progettuale è quella di avere memoria dei luoghi e delle realtà che hanno permesso la vita in questi territori.

 

La consapevolezza che spesso si prendono in considerazione le vicende ‘terrene’ dei territori antropizzati è condizione necessaria per ribaltare il punto di vista della storia urbana: partire dal mare, in qualche modo circoscritto, come il Mar Nero, può essere più che un’alternativa, un punto di stazione, un modo di guardare il tema ambientale, legato anche a un’idea di sostenibilità, che assuma proprio il punto di vista del mare – e della sua difesa.

Questo assunto che potrebbe sembrare un paradosso – in quanto il tema del Wave mette in campo la possibilità di esportare il sistema Mose di Venezia come opera di difesa delle ‘terre emerse’ dalle ‘acque alte’ –, in realtà rappresenta un punto di vista attraverso cui interpretare il rapporto dell’architettura con le città d’acqua, e di tutti quei territori ‘anfibi’ che si relazionano con il mare. Questo punto di vista permette di guardare il mare non come nemico della città e del suo territorio, ma come una risorsa vitale, così come è una risorsa necessaria e indispensabile la laguna di Venezia per la sopravvivenza della città stessa, come testimonia la disputa nel Cinquecento tra Cristoforo Sabbadino e Alvise Cornaro. L’esempio veneziano suggerisce che: architettura, natura, topografia divengono non aspetti differenti del progetto, ma componenti corali di un più ampio panorama culturale che riguarda l’esperienza dello spazio e della sua costruzione.

Vale anche per noi l’affermazione di Fernand Braudel sul ruolo dell’acqua di Venezia come “acqua divina e demoniaca”. Scrive Braudel: “L’acqua sempre l’acqua: è il materiale, il materiale della città. E prima di tutto l’acqua della laguna che di Venezia è la matrice”.

 

È attraverso la presenza del mare che si sono costruite le grandi civiltà urbane, attraverso i rapporti commerciali, attraverso le connessioni che le città riuscivano a istituire con l’affaccio sui bacini acquei. Il tema delle città-porto e delle wetlands assume, oltre che un suo ruolo economico, politico, sociale, anche una sua valenza figurativa che fonde architettura, storia e paesaggio.

Nella contemporaneità, invece, le città-porto sembrano allontanarsi dal mare, e molte città che sono a ridosso delle lagune e dei bacini, o sul Mar Nero come nella proposta del tema di progetto, hanno perso questo rapporto intenso e privilegiato, che le hanno rese riconoscibili e uniche nei secoli.

L’esempio di Odessa, con la grande Scalinata Potëmkin che si protende in mare e che ha rappresentato una delle più ardite architetture di questa città, legando la città alta al mare, oggi ha perso qualsiasi valore urbano ed è rimasta un frammento isolato, un ‘personaggio in cerca di autore’, come lo sono altre architetture note, come il Maschio Angioino a Napoli o il porto di Venezia a partire dall’Ottocento. Il tema si traduce quindi nella necessità di ricucire luoghi posti tra la città antica e la sua modernità, tra la città antica e il suo mare.

Fernanda De Maio + Flavia Vaccher, con Alessandro De Savi, Elena Marchiori, Vittoria Sarto e Alessia Scudella



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Mangrotopia (Contemporaneo ancestrale in Benin)

26.06 / 14.07.2023 – aula F

Forse per rispondere ad alcuni effetti della crisi climatica come l’innalzamento delle acque in particolari contesti, bisognerebbe immaginare ciclopiche dighe mobili, come è accaduto a Venezia con il Mose… forse si potrebbe rispondere in modo alternativo.

Per comprendere quali sono i modi alternativi per costruire sistemi di mitigazione a protezione delle coste e degli abitati dall’invasione e dall’erosione delle acque marine, abbiamo scelto di lavorare su uno dei territori costieri dei paesi dell’Africa Occidentale che affacciano sul golfo della Guinea, il quale rappresenta uno di questi contesti fragili, esotici e ricchissimi di storie e leggende diverse; come quella dei geografi che proprio nel golfo della Guinea, laddove il Primo meridiano incrocia l’Equatore, pongono il punto zeronull Island – centro geocartografico della Terra, o come quella del più feroce trafficante di schiavi, Francisco Félix de Sousa, romanzata da Bruce Chatwhin ne Il viceré di Ouidah. Leggende e storie di stampo occidentale comunque, mentre quelle del posto raccontano di foreste sacre e alberi feticcio, per esempio, o delle Agodjié, le Amazzoni d’Africa del regno di Dahomey, che prosperò ad Abomey, e dove oggi i forti del periodo coloniale e gli antichi palazzi imperiali di Abomey e Porto Novo sono testimonianza di un regno scomparso e di un passato legato alla tragica tratta atlantica degli schiavi; oppure le storie di ordinaria quotidianità, esperibili ancora oggi, che narrano di una concezione del tempo totalmente diversa da quella occidentale, perché non basata sulla concezione di Newton del tempo assoluto ma su una idea a volte ciclica del tempo, legata al ripetersi di attività scandite dagli eventi della natura, a volte lineare, basata su avvenimenti più lunghi, sulla propria storia e genealogia, attraverso i riti delle classi d’età.

Così è il Benin, con i suoi circa centoventi chilometri di costa fatta di spiagge sabbiose e dorate e palmeti in cui s’innestano a est e ad ovest due ampi ecosistemi lagunari connessi ai laghi Nokoué e Ahémé. La laguna, in Benin, con le sue estese foreste paludose, canneti, vegetazione galleggiante e mangrovie, quest’ultime a rischio sparizione, rappresenta il bordo superiore della fascia costiera sabbiosa e la transizione verso le pianure agricole argillose; lungo questa fascia la laguna intercetta il mare solo in due punti: a ovest nella zona estuaria del fiume Couffo che dagli altipiani del Benin defluisce nelle lagune costiere di Ahémé nell’Atlantico, e a est a Cotonou attraverso il canale artificiale scavato nel 1855. Ed è proprio lungo questa fascia costiera che si snoda la Route des Pêches, la strada dei pescatori, che collega Cotonou, unica città portuale del Benin, a Ouidah, intercettando la Porta del non ritorno, monumento eretto sulla spiaggia al termine della cosiddetta Strada degli schiavi che collega il centro cittadino all’oceano, per poi proseguire verso ovest, attraversando ambiti lagunari, fino a raggiungere il confine con il Togo. Proprio lungo questo percorso in terra battuta, già in corso di trasformazione in strada asfaltata, si attestano i progetti, caldeggiati dal governo di questo paese e messi in pratica dalle grandi società di sviluppo turistico, come Club Mediterraneé, per realizzare una cortina di resort e villaggi vacanza sulla spiaggia e in parte inseriti nella fascia lagunare, a sostituzione degli agglomerati di capanne di pescatori disperse nei palmeti lungo la spiaggia. Nella fascia lagunare pesca e agricoltura sono, d’altra parte, fino ad oggi, le principali attività di sostentamento, insieme alla produzione di sale, così come a Ganvié, la cosiddetta Venezia d’Africa, villaggio lacustre sul Lago Nokoué. L’economia turistica, benché sicuro stimolo di ricchezza economica, rischia di alterare i fragili equilibri sociali e culturali su cui questa frangia atlantica appoggia la propria bellezza.

Qui, come altrove in Africa, eccetto che nelle megalopoli spesso costruite intorno alle città di fondazione coloniale, infatti, l’architettura, ridotta all’osso, è realizzata, il più delle volte, con semplicissime strutture e composizioni e si caratterizza con i tamponamenti fatti di intrecci di foglie, assi di legno o mattoni in terra cruda e con i tetti e le coperture di paglia o di lamiere.

Abituare lo sguardo alle differenti forme di bellezza del paesaggio e dell’architettura plasmate dal clima tropicale, dove “la ventilazione è un valore assolutamente primario nelle case come nei luoghi pubblici e l’aria ferma non vale niente” (Kapuścinski, 2000), è il primo obiettivo del workshop e per questo i progetti dovranno prima di tutto descrivere questa cultura dell’abitare differente e poi interpretarla con una sorta di afflato ancestrale contemporaneo, affinché ciascuno di essi, nel rafforzare l’ecosistema di mangrovie – necessaria alternativa per la salvaguardia delle zone umide del litorale e al contempo utile dispositivo di architettura del paesaggio per la riduzione, grazie alle radici aeree, dell’impatto delle inondazioni e dell’erosione del suolo – diventi occasione per ricomporre anche una sequenza di spazi e luoghi per una nuova mobilità e per le attività ricorrenti – agricoltura, pesca, saline, turismo – in un’ottica di bilanciamento sostenibile ed equilibrato del binomio economia/ambiente nelle aree che la docenza indicherà.

Raimund Fein, con Esma Nur Ayvazoglu, Tommaso Bartoloni, Münevver Celik e Giulia Conti



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Luce sull’acqua

26.06 / 14.07.2023 – aula B

Durante il laboratorio, come architetti e futuri architetti, ci occuperemo del problema del permanente o temporaneo innalzamento del livello del mare, non tanto sotto l’aspetto tecnico o funzionale ma piuttosto sotto l’aspetto del disegno architettonico.

Esamineremo quanto e in che modo le variabili altezze dello specchio d’acqua cambiano, attraverso l’effetto del riflesso, la percezione ottica e l’effetto della forma e degli spazi architettonici che ad esso reagiscono, aprendo così nuove strade nella creazione di qualità spaziali e formali.

Analizzeremo queste forme percepite diversamente attraverso l’applicazione di un metodo specifico e ben definito di composizione spaziale. Questa precisa operazione si rintraccia prevalentemente nella riflessione dell’architetto Erich Mendelsohn. Imparare ed esercitare questo specifico metodo è un elemento essenziale del programma di questo workshop.

Controlleremo, proveremo e rappresenteremo la chiarezza e la qualità formale e spaziale che risulta dall’applicazione di questo metodo compositivo, elaborando poi disegni prospettici di queste forme in modo definito. Non disegneremo l’oggetto architettonico nella sua complessità, con i suoi ingombri, ma soltanto la luce e l’ombra che si rifletteranno sulle sue superfici. L’esercizio aiuterà a comprendere che la sola rappresentazione di luce e ombra, se riportata correttamente, rende l’oggetto architettonico “leggibile” e quindi soddisfacente per l’occhio, trasmettendone già l’effetto di bellezza che tutti desideriamo.

Nei primi tre giorni del workshop ci saranno una serie di comunicazioni/lezioni, brevi esercizi e la preparazione logistica per le fasi centrali di lavoro che seguiranno. Tra la quarta e l’ottava giornata circa, la classe elaborerà “oggetti architettonici” che interferiscono con specchi d’acqua di varie altezze, seguendo le precise indicazioni di cui si è parlato sopra, attraverso schizzi e modelli fatti di cartonlegno. Di questi “oggetti architettonici” gli studenti realizzeranno in seguito disegni prospettici a matita colorata secondo regole precisamente definite, riportando esclusivamente la luce, l’ombra e il riflesso sull’acqua del volume. Durante gli ultimi tre giorni saremo ovviamente occupati nella preparazione della mostra finale.

Per quanto riguarda utensili e materiali, useremo cartonlegno (1.0 mm e possibilmente 2.0 mm), due matite colorate e un cartoncino da disegno che saranno precisamente specificati all’inizio del workshop. Ovviamente, tutti i partecipanti sono tenuti a essere muniti degli abituali utensili per la costruzione di modelli e per la preparazione di precisi disegni a matita.

Prevediamo di lavorare maggiormente in gruppi di due. Per aumentare l’effetto formativo incoraggiamo la strutturazione di gruppi di varie “età accademiche” ed esperienze. Gruppi a tre o lavori individuali saranno accettati solo in casi eccezionali e ben motivati.

Antonella Gallo + Susanna Campeotto + Claudia Cavallo

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Cosa porti sull’Arca?

26.06 / 14.07.2023 – aula C

Sembra oramai certo che per far fronte alla carenza di terra e all’innalzamento del livello delle acque l’uomo dovrà spingersi ad abitare il mare. Non è difficile trovare su web e riviste esempi di prototipi di città, galleggianti e non, che simulano o prefigurano questa condizione.

L’idea di come l’uomo possa abitare o antropizzare il mare trova in questi esempi declinazioni diverse (per la verità non molto) accomunate da alcuni caratteri costanti: sono progetti di città modulari e replicabili che fanno di valori quali la sostenibilità, la convivenza in armonia con l’ambiente marino, la resilienza i punti principali del loro manifesto. A questa autonarrazione virtuosa fanno da corollario altri elementi quali l’alimentazione a base vegetale, i trasporti elettrici e condivisi, l’agricoltura idroponica, la riduzione dei rifiuti e l’utilizzo di un materiale per le piattaforme che favorisca la crescita di organismi marini.
Peccato che si tratti di “utopie” offerte già confezionate da grandi aziende, dove la tumultuosa e per molti versi misteriosa vita delle città, la sua architettura, i suoi spazi così come l’immaginario dei suoi futuri cittadini vengono normalizzati e orientati fin nei minimi dettagli.

A fronte dell’omologante banalizzazione indotta da questo tipo di pragmatismo ecologico-sociologico-ambientale, il tema dell’edificio collettivo su zattera (piattaforma o galleggiante) costituisce il pretesto per aprire una riflessione sui “valori” da mettere in gioco  per riconsegnare complessità culturale e umana all’architettura.

Iván Ivelic Yanes + Ursula Exss Cid + Anna Braghini

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Ri[costruire e abitare] il Pacifico

26.06 / 14.07.2023 – aula D

Il cambiamento climatico, lo scioglimento  dei ghiacci polari e l’innalzamento del livello del mare rappresentano una sfida importante per le città situate lungo le coste del mondo. In molte città situate sulla costa del Pacifico – e in particolare in Cile – questo problema è aggravato dalla loro condizione sismica e dal conseguente rischio di tsunami, entrambi fenomeni dinamici e imprevedibili.

Nel 1960  nel sud del Cile  si è verificato il più grande terremoto mai registrato (9,6 Mw), provocando uno tsunami che ha causato danni irreparabili alle infrastrutture e agli insediamenti umani.

Questi eventi si verificano periodicamente nel nostro Paese con 4500 km di costa sul Pacifico: nel 2010 a Dichato (8,8 Mw, il quinto terremoto più forte registrato al mondo), nel 2014 a Iquique (8,2 Mw) e nel 2015 a Illapel (8,4 Mw). La situazione si aggrava se consideriamo la crescita rapida e non regolamentata delle aree urbane nelle zone costiere, che aumenta il rischio e la vulnerabilità delle città cilene. Sebbene questi fenomeni facciano parte della nostra storia e cultura, le città cilene non sempre sono preparate ad affrontarli.  Uno degli eventi più recenti e distruttivi (Dichato, Concepción, 2010) ha causato danni devastanti, ma ha anche lasciato importanti lezioni per integrare al progetto architettonico, il rischio e la mitigazione di futuri eventi catastrofici di origine naturale.

Laguna Verde è una località situata a 15 km a sud della città di Valparaíso, nel Cile centrale. Conta con 3.500 abitanti e negli ultimi anni l’occupazione informale di terreni destinati alla costruzione di abitazioni è aumentata in modo esponenziale. Questa occupazione– chiamata abitualmente toma – non tiene conto dei fattori di rischio a cui sono esposti i suoi abitanti, soprattutto nella spianata situata tra la spiaggia e l’estuario di El Sauce (41 ettari). Questo settore è a rischio permanente di inondazioni, sia per tsunami sia per lo straripamento dell’estuario e delle zone umide in caso di forti piogge.

Il workshop affronterà questo tema considerando non solo gli impatti negativi di questi due fattori di rischio, ma allo stesso tempo analizzerà come essi possano essere considerati un potenziale per lo sviluppo turistico e ambientale della località, proponendo nuovi spazi pubblici, strutture e/o abitazioni compatibili alle inondazioni per migliorare la capacità di resilienza.

Seguendo le linee di lavoro sviluppate dalla Scuola di Architettura e Design (PUCV), il metodo di progetto integrerà giornate di osservazione architettonica con la conoscenza locale e le tradizioni costruttive vernacolari delle aree marittime dell’estremo sud, dove l’identità architettonica dimostra la capacità dei suoi abitanti di trasformare l’avverso in favorevole.

Patrizia Montini Zimolo + Camilla Donantoni, con Lorenzo Castelli



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2050 Venezia upside down

26.06 / 14.07.2023 – aula M2

“Quanto fur grandi le tue Mura il sai,

Venetia, or come esse si attrovin vedi;

che se al bisogno tu non provvedi

deserta e senza mura resterai.

Li fiumi, il mare e gli uomini tu hai

Per inimici, li provi e non lo credi.

Non tardar, apri gli occhi e muovi i piedi,

che volendo poi, far non potrai.”

(Cristoforo Sabbadino, proto della Repubblica Venezia, 1557)

 

Venezia ha continuato a rimanere nei secoli la città “che ha per mura l’acqua e per tetto il cielo” in una condizione anfibia che appartiene all’isola intera e alle sue formidabili architetture, i palazzi a fondaco, i colonnati della Galeazze, i grandi bacini d’acqua dell’Arsenale, le darsene e i Magazzini del sale in punta della Dogana, la triangolazione del bacino di San Marco, ma anche gli squeri, i ponti di barche, le zattere, le passerelle.  Grandi e piccole architetture che si mescolano e si confondono con l’acqua secondo il variare delle maree, in un rapporto che include il tempo e, col tempo, le variazioni di stato.

E se ci collochiamo dentro un tempo che verrà, tra diciamo trent’anni, e che pone al centro del suo progetto le conseguenze del cambio climatico e l’innalzamento del mare in questa città lagunare unica, le paratie del Mose non basteranno più a proteggerla.

E se immaginiamo che resteranno alzate solo alcune schiere di paratoie per ridurre e mitigare la dimensione e la violenza delle maree, la città potrà continuare a vivere il suo grande destino di città-monumento semi-sommersa ma viva e vitale nella sua offerta commerciale e di attività culturali e turistiche, per consolidarsi nell’immaginario collettivo mondiale in tutta la sua singolarità di città dove le architetture di pietra e acqua ancora ben leggibili conviveranno con nuove architetture galleggianti o subacquee, collocate lungo il suo perimetro nelle rive nord e sud consentendo una diversa fruizione dello spazio urbano.

E infine, in questo nuovo equilibrio raggiunto tra natura e artificio sarà possibile conservare il prezioso sistema biologico e faunistico della laguna e l’immenso patrimonio storico-architettonico della città insulare sì in parte sommersa, ma intatta nella sua monumentalità.

Guido Morpurgo, con Matteo Isacco e Cristiano Gerardi

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Venezia, la Superfortezza impermeabile. Una mostra al Forte di Sant’Andrea sull’architettura delle infrastrutture di difesa dalle acque, dal Rinascimento al Mose e oltre

26.06 / 14.07.2023 – aula L2

“La natura è spesso nascosta, qualche volta sopraffatta, molto raramente estinta.”

(Francis Bacon)

 

Le azioni del racchiudere, contenere e proteggere si ricongiungono nelle architetture di difesa dalle acque che da sempre caratterizzano Venezia, la sua laguna e la sua estensione culturale e geografica sui mari. Dall’immane Castello-Arsenale alle Batterie e agli Ottagoni che presidiano la laguna, fino alle fortificazioni allineate sulle coste dell’Adriatico e dello Ionio, queste architetture-infrastrutture descrivono il grande contorno di Venezia nei secoli come “Superfortezza impermeabile” alle invasioni, così come alle maree.

Le Superfortezze veneziane storiche esprimono contenuti tecnico-infrastrutturali, ma rappresentano soprattutto modelli dimostrativi oltre che utopici e fantastici, appartenendo alla tradizione della città ideale e alle sue rappresentazioni. Sono orizzonti sognati ed esempi virtuosi capaci di presiedere al perenne riequilibrio tra insediamento umano e acque.

Le poderose masse murarie in acqua di Butrinto, Caffaro, Candia, Cefalonia, Corfù, Sebenico, Zara, rappresentate in scala nei bassorilievi dei paramenti della Chiesa di Santa Maria del Giglio e nei plan-reliefs conservati al Museo Storico Navale della Marina Militare, ricostruiscono, tutti insieme, la vita metamorfica della “Superfortezza-Venezia”. Essi declinano idealmente la narrazione mitografica della città nella condizione perentoria e permanente di rapporto equilibrato tra l’estensione geografica delle acque e l’artificio necessario alla vita umana.

 

Venezia – oggi soggetta a un’emergenza idraulica permanente – rappresenta l’occasione per ripensare al ruolo del Mose, nuova “Superfortezza” di scala geografica. Riflettere attraverso una mostra sui modi con cui regolare armonicamente il rapporto tra città, acque e paesaggi confrontando storia e presente, non significa però volgerci nostalgicamente al passato, ma neppure affidarci ingenuamente al futuro, reso instabile e nebuloso da promesse tecnologiche salvifiche. Significa piuttosto postulare che il mondo delle forme architettoniche storiche in rapporto con le acque sia portatore di principi insediativi rielaborabili nelle nuove forme di infrastrutture sommerse, di cui il Mose rappresenta il prototipo.

 

Il workshop riguarderà il progetto di un allestimento per porre idealmente in dialogo le Superfortezze storiche con la “Superfortezza Mose” e la sua possibile applicazione in altre 52 lagune del mondo.

La mostra disegnata alle scale 1:50 e 1:20 si allestirà idealmente nel cinquecentesco Forte di Sant’Andrea che si erge di fronte all’orizzonte del mare quale gesto simbolico e teatrale. Il Forte è oggi una sorta di “rudere intatto”, ancora portatore di un’esemplare chiarezza progettuale: un grande solido conteso tra terra e acqua, compenetrato da scavi, gallerie e stanze. Il progetto interverrà sulla disposizione di disegni e modelli in scala delle Superfortezze di ieri e di oggi all’interno dei vuoti del Forte, “blocchi d’aria” che si insinuano nella materia compatta, incorruttibile, impermeabile dell’edificio e ne scavano il volume fondendosi tra loro. Il corso inizierà con un sopralluogo nella fortezza.

 

Estremo bastione difensivo, Il Forte di Sant’Andrea è l’immagine che condensa l’idea di Venezia come “Superfortezza impermeabile”, immobile nave che contrasta le maree, dialogando con le strutture mobili del Mose allineate di fronte a esso.

Obiettivo dell’architettura della mostra delle Superfortezze è far confluire progetto e storia l’uno nell’altra: le forme della modernità – dal Rinascimento al nostro presente e oltre – saranno riallineate secondo una diversa concezione della temporalità che, non più considerata un fatto cronologico, esprimerà la sua forza plastica in continuo, metamorfico e infinito divenire, restituendo ordine, chiarezza e apertura alle possibilità del nostro presente.

Diego Orduño Guerra + Sandra Valdés Valdés + Sarah Obregón Davis

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Sogni lacustri di una città arida: personaggi di Città del Messico, Luis Barragán e l’acqua

26.06 / 14.07.2023 – aula L1

La storia della Città del Messico e dei suoi laghi è quella di una relazione complessa, conflittuale, tragica e, in certo senso, anche poetica, i cui personaggi, situazioni e luoghi che la compongono emergono dalle condizioni più diverse e inaspettate. Questo laboratorio propone di avvicinarsi alla matassa degli eventi che hanno portato alla creazione di una città che ora si allaga per mancanza d’acqua, immaginando nuovamente i suoi personaggi, situazioni, strutture e relazioni basandosi sulla metodologia utilizzata da John Hejduk per il suo progetto delle Vittime di Berlino.

All’arrivo degli europei, la grandiosa Tenochtitlán era una città circondata da sei laghi (ciascuno dei quali era un personaggio a sé stante) che si univano durante la stagione delle piogge per formare il grande Lago di Texcoco (un altro personaggio) che, nei suoi periodi migliori, occupava quasi duemila chilometri quadrati. Dopo cinquecento anni, sulle tracce di questo grande sistema lacustre sorge una città di oltre venti milioni di abitanti. Il paesaggio lacustre di oggi è un ricordo, la città affonda e, contemporaneamente, si confronta con la scarsità d’acqua. Comprendiamo questa grande contraddizione attraverso la narrazione, la storia e i suoi personaggi, che per secoli hanno subito le conseguenze catastrofiche delle inondazioni, come quella del 1629, l’acquazzone di San Matteo (anche questo un personaggio importante della storia), quando, dopo trentasei ore di tempesta, la città rimase allagata per cinque anni. Molti personaggi sono emersi lungo questa relazione interrotta: ad esempio, la Chinampa, una struttura il cui invento permise agli abitanti di Tenochtitlán di sviluppare un complesso sistema di coltivazione lungo i laghi, o l’Ajolote, un anfibio mistico, parte divinità, parte abitante dei laghi, che attualmente vive tra le poche Chinampas rimaste nella zona di Xochimilco e che non potrebbe sopravvivere in nessun altro ambiente al mondo.

In questa storia ci sono stati personaggi di ogni tipo, come Luis Barragán, i cui spazi come il Patio de las Ollas, che si inonda temporaneamente, la Cuadra San Cristóbal o la Fuente de los Amantes, rappresentano un approccio poetico all’acqua, cercando di rimediare alle fratture storiche attraverso la memoria personale e culturale. Tlaloc, il dio azteco della pioggia, è un altro personaggio; le barche di Xochimilco; i fiumi canalizzati di La Piedad, Consulado, Magdalena; l’aeroporto abbandonato nel lago di Texcoco o la Biblioteca Vasconcelos, che è una grande arca della cultura arenata nel giardino dell’enorme oceano secco che è la Città del Messico, sono altri personaggi che ci permettono di comprendere la memoria collettiva della Città del Messico in relazione all’acqua, attraverso strutture architettoniche. Alcuni personaggi storici sono fondamentali, ad esempio il Grande Tajo di Nochistongo (un personaggio paesaggistico e ingegneristico), che fu il primo tentativo di drenare la città verso Hidalgo, o l’Albarradón di Ecatepec, una struttura preispanica che proteggeva la città dalle inondazioni (con l’invasione spagnola e la distruzione di queste strutture, la città iniziò a subire inondazioni più frequenti).

Basandoci sulle approccio narrativo e poetico di John Hejduk nel progetto architettonico per costruire la memoria, progetteremo le vittime dei personaggi storici, architettonici, urbani e paesaggistici che, insieme, costruiscono una narrazione complessa, tragica e allo stesso tempo poetica della relazione tra la Città del Messico e l’acqua.

Cristiana Alexandre Pasquini, con Jean Guilherme Oliveira e Ambra Tieghi



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Attraversamento fluido

26.06 / 14.07.2023 – aula J

“Quando chiedo se siamo davvero un’umanità, è un’occasione per riflettere sulla sua reale configurazione […] Se il contributo che quelle persone delle caverne hanno dato all’inconscio collettivo – questo oceano che non si esaurisce mai – si connette con i nostri terminali qui, in quell’epoca lontana. Se, invece di guardare i nostri antenati come quelli che erano già qui molto tempo fa, capovolgiamo il binocolo, saremo percepiti dai loro occhi. […] una rivelazione molto interessante: che le scene di caccia nelle pitture rupestri potrebbero non solo registrare attività quotidiane, ma parlare di sogni […]. Il tipo e il sogno a cui mi riferisco è un’istituzione. Un’istituzione che ammette i sognatori. Dove le persone imparano lingue diverse, risorse adeguate per prendersi cura di se stesse e di ciò che le circonda.”

(A. Krenak, A vida não é útil, pp. 33-34)

 

Acqua, quella materia fluida che precipita dall’atmosfera, che evapora attraverso il disgelo e sgorga dalla terra. Acqua, corso naturale che forma fiumi incrociati e intrecciati fino a incontrare il mare. Acqua, materia fluida che alimenta e consolida civiltà e popoli, che ha sostenuto le navigazioni dalla travolgente disumanizzazione colonizzatrice del pianeta, che può generare energia, che precede chi saremo, che è e ci mette sempre in movimento. Acqua, attraversamento tangibile e fluido di ciò che siamo. Le acque di coloro che sono stati qui prima di noi. Le acque del fiume Paranã, nella lingua dei popoli indigeni del Brasile, “il fiume grande come il mare”. È possibile per noi comprendere queste acque con gli occhi di chi è stato qui prima di noi? Costruire sogni e riflettere su questo territorio, il bacino del Paranã in Brasile, è lo scopo di questo workshop di progetto per Wave 2023.

Il bacino del fiume Paraná ha una superficie totale di 1,5 milioni di chilometri quadrati, di cui 800.000 si trovano nel territorio brasiliano. Oltre al Brasile, fa parte anche di Argentina, Paraguay e Uruguay. Il fiume principale del bacino è il Paraná, che origina e separa gli stati di San Paolo e Mato Grosso do Sul in Brasile. Fino alla sua incursione in territorio argentino, quattro centrali idroelettriche – Jupiá, Ilha Solteira, Porto Primavera e Itaipu – ne hanno sbarrato il corso. L’installazione di questi impianti, soprattutto a Porto Primavera, ha provocato gravi disastri sociali e ambientali fin dagli anni ’90. Secondo i dati, l’area allagata conteneva la più grande riserva di argilla del Sud America, colpiva almeno quattordici specie di animali in via di estinzione, allagava centodiciotto siti archeologici e promuoveva la migrazione forzata di millesettecentoventinove famiglie rivierasche. Tra tutti i problemi causati, le migrazioni forzate e l’ambiente sono quelli che rimangono. Ancora oggi, le città del bacino del Paraná in questa regione soffrono per l’inondazione del lago arginato e l’apertura delle sue paratoie. Le isole sono state sommerse all’inizio del 2023 e i residenti hanno perso case e attività commerciali.

Di fronte ai dati, il workshop si propone di proporre una riflessione su questo territorio in due modi:

Primo: invertire il binocolo

Divergere dal territorio scelto. Qui, propongo che le persone, in base al tema, apprendano linguaggi diversi e risorse adeguate dalle diverse esperienze narrate nei loro territori.

Secondo: costruire un’istituzione che ospiti i sognatori

Convergere nel territorio scelto. Qui propongo di costruire riflessioni progettuali e, chissà, utopistiche, per ogni fiume, animale e essere umano privato del suo habitat a causa dell’esondazione dei fiumi arginati. Il caso della Diga di Porto Primavera nel Bacino del Paranã – Brasile.

Christof Mayer, Axel Timm, Amerigo Alberto Ambrosi, Andrea Aragone, Federico Broggini, Marta De Marchi, Alessandra Marcon, Marco Ranzato, Lorenza Manfredi, Ute Meye

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Cantieri acquatici

26.06 / 14.07.2023 – aula A1

“Siamo sospesi in un mondo di flussi e il suolo è un medium turbolento.”

(Tim Ingold, 2023)

 

Le fatiche dell’idraulica nell’interpretare il comportamento dei flussi sono volte a stabilire portate e livelli, misure che fissano i fluidi in figure statiche. Eppure, anche per gli idraulici, le misure che riguardano le piogge, le portate dei fiumi, i livelli del mare sono probabilità, non certezze. Avviene che le previsioni siano smentite, che i livelli vengano superati, che la terra si estenda nell’acqua e l’acqua si estenda nella terra. Quella della fluidità è una figura opposta a quella della terra intesa quale supporto stabile. A sgretolarsi sono le fondamenta della pratica architettonica.

Cantieri acquatici riconosce la pervasività della condizione fluida e l’inesorabile superamento di portate e livelli; nei Cantieri acquatici si sperimenta la fluidità. Al fine di entrare nello stato mentale della fluidità, durante tre settimane si allenano corpo e parola, si osservano e toccano materie fluide. Si costruiscono dispositivi che anziché contrastare, catturare e fissare la condizione fluida, ad essa si sincronizzano e abilitano. Per farlo, si procede secondo movimenti abduttivi ovvero osservazioni, intuizioni e sperimentazioni che, proprio come nelle predizioni idrauliche, non definiscono certezze assolute piuttosto probabilità.

I Cantieri acquatici sono ospitati da situazioni esistenti di Venezia strettamente dipendenti dall’acqua, aperte a esplorare l’assenza di stabilità nella sua disponibilità e raccolta dell’acqua, nelle fluttuazioni delle maree, nella contaminazione dell’ambiente lagunare, nei passaggi di stato della materia acquatica. I dispositivi realizzati continueranno ad abitare i cantieri acquatici anche dopo le tre settimane di W.A.V.E. fino a quando saranno in grado di sincronizzarsi con la condizione fluida.

Cantieri acquatici nasce dalle riflessioni sviluppate all’interno di flux.urbains, una rete di ricerca avviata da urbanes.land e Latitude Platform che coinvolge ricercatori, amatori e associazioni rivierasche con l’ambizione di gemellare i fiumi secondari d’Europa, corpi idrici ibridi in gran parte trasformati e ancora essenziali per il futuro.

Margherita Vanore, con Leandro Esposito e Massimo Triches



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Trama di muri d’acqua

26.06 / 14.07.2023 – aula N2

La protezione delle lagune si è sviluppata nella storia con varie opere d’ingegno: deviazioni di fiumi, marginamenti, aree umide, modifiche di fondali, sistemi produttivi e di transizione terra acqua, articolazione dei waterfront, barriere fisse e mobili, emerse e sommerse.

La Laguna di Venezia è in questo ambito uno straordinario modello per la sua specificità territoriale e ambientale, per i valori storici culturali e paesaggistici, come per la sua fragilità e la grande ricchezza del patrimonio da tutelare. Una necessità di tutela che nel secolo scorso ha indirizzato la scelta di difenderla dalle acque alte con un’opera di grande complessità e unica nel suo genere. Il sistema Mose con le sue settantotto paratoie mobili, posate sul fondale delle tre bocche di porto, è costituito da moduli cavi che si azionano espellendo l’acqua e immettendo aria compressa, per emergere dai fondali quando l’alta marea supera i livelli di guardia per la città lagunare.

L’immagine di muri d’acqua che costruiscono una trama, o meglio un’armatura di difesa della laguna dall’innalzamento dei mari costituisce per il workshop Water Walls Weave l’innesco di una riflessione sulle possibili strategie di modellazione delle aree costiere tra mare e laguna per la riduzione del rischio di inondazione.

I waterfront lagunari e di mare raccontano nelle loro differenze strutturali la capacità di reagire e utilizzare la variazione delle acque per conformare il paesaggio, attraverso diversi processi di infrastrutturazione e di produzione, consolidando nel tempo le difese da mareggiate dirompenti.

L’attenzione del workshop WWW si concentra in particolare sulle possibilità di una infrastrutturazione sostenibile dei cordoni costieri che delimitano le lagune dal mare. La lettura si svilupperà attraverso lo studio dei sistemi di difesa naturali e costruiti accompagnati dalla modellazione delle sezioni che descrivono tanto la stratificazione quanto la trasformazione e i processi produttivi di queste terre di mezzo, comprese tra mare e laguna.

Il paesaggio del cordone litoraneo, con i suoi waterfront interni ed esterni, offrirà quindi l’occasione per comprendere il ruolo determinante della adeguata conformazione degli spazi aperti e degli ambiti di regolazione e di difesa dei processi produttivi.

L’obiettivo è ampliare la conoscenza e la consapevolezza della trasformazione necessaria a preservare i caratteri del paesaggio lagunare, sperimentando strategie progettuali e forme adattive utili a prefigurare scenari futuri.

La laguna oggetto di studio è quella del Mar Menor in Spagna, posta lungo la costa sud- ovest del Mediterraneo. Si tratta di un mare chiuso che mantiene una temperatura calda durante l’anno, dove romani e arabi costruirono bagni termali lungo la costa, in luoghi ancora oggi frequentati per le proprietà terapeutiche dei bagni. Il Mar Menor ha una superficie di 170 chilometri quadrati, è delimitato da 73 chilometri di costa e appartiene a quattro comuni: Los Alcázares, San Pedro del Pinatar, San Javier e Cartagena. Le sue acque non superano i 7 metri di profondità e accolgono ampie saline con importanti riserve di biodiversità. Qui ciò che divide il mare dalla laguna è La Manga, il cordone litorale che si estende da Cabo de Palos alla Punta del Mojón, una striscia di terra lunga 21 chilometri e larga in media 100 metri.

Rok Žnidaršič, con Katarina Čakš, Petra Zoubek e Giona Carlotto 



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Rok Žnidaršič, con Katarina Čakš, Petra Zoubek e Giona Carlotto

 

 

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Rok Žnidaršič, con Katarina Čakš, Petra Zoubek e Giona Carlotto

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Rispettare l’invecchiamento?

26.06 / 14.07.2023 – aula M1

Ute Guzzoni nel suo discorso Building, residence, thinking ci ricorda che forse la nostra attitudine all’abitare si riflette più intensamente attraverso il rinnovamento. Nel momento in cui il nostro pianeta si è trasformato a tal punto che si parla di Antropocene, si può dire che a parte rare eccezioni sostanzialmente ogni nostro intervento nello spazio è rinnovamento.

 

La natura ha una straordinaria capacità di autoguarigione e anche di trasformare il nostro ambiente di vita una volta che lo lasciamo. Ciò è particolarmente vero per il patrimonio edilizio, che è completamente ‘degradabile’ in quanto costituito da materiali naturali. Le case di oggi, circondate da tutti i possibili strati di protezione contro le influenze esterne, non possiedono più questa capacità, che riflette al meglio l’atteggiamento moderno nei confronti dell’ambiente naturale.

 

Di norma, la nostra dimora avviene in ambienti costruiti più antichi di noi, poiché creati prima della nostra nascita. Proprio come hanno plasmato i nostri antenati, indipendentemente dalla loro qualità, plasmano anche noi. Se devono essere utilizzati in modo moderno, devono essere adattati ogni volta a nuove esigenze.

Naturalmente, la domanda è quanto siamo disposti ad adattarci. Perché è con il nostro adattamento che possiamo sperimentare più pienamente ciò che desideriamo preservare, intendere come patrimonio culturale, stabilire come nostro, creare un contatto personale con il passato e collocarci nell’arco di tempo di un certo spazio… quindi come catturare e sperimentare l’impronta del tempo, di alcune altre persone che hanno vissuto qui, di alcune qualità specifiche fornite da antiche tecniche di costruzione, materialità e processi naturali. Sappiamo ancora rispettare l’invecchiamento (anche nelle case), come vivere la patina? o queste esperienze ci ricordano troppo la nostra transitorietà? Sappiamo ancora vivere con le stagioni, osservare, ad esempio, la luce del mattino?

D’altra parte, la questione è come attualizzare il nostro patrimonio costruito, come renderlo tale che, nonostante la sua età, vivere in esso possa essere un’esperienza più piena che vivere in nuovi edifici. Crediamo che si tratti di trovare un equilibrio, un’armonia se vogliamo, tra lo stato esistente trovato/rilevato/identificato e il nuovo intervento in esso, la nostra presenza.

Quindi, come comprendere e aggiornare l’esistente? Cosa stabilire la qualità? Intendiamo il rinnovamento come un processo di identificazione degli elementi dell’ordine del costruito, la relazione con la topografia e altri edifici e la rimozione di quegli elementi che interrompono questo ordine.

Ogni volta che si rende necessaria una ristrutturazione, essa è in realtà espressione della necessità di ristabilire l’equilibrio in uno spazio, che per un certo scopo in un certo momento, era già stato equilibrato. Per ogni situazione contemporanea che di volta in volta porta cambiamenti, è necessario ristabilire l’armonia tra le nuove esigenze e la struttura esistente.

 

Il tema centrale del workshop sono le rovine del paesaggio salino: muri in pietra di case, argini fortificati di canali navigabili e vaste saline di ex saline. La tipica immagine iconica del Parco paesaggistico Sečoveljske Soline, i profili malinconici delle case crollate nelle morbide chiazze di vegetazione tra le superfici specchianti del paesaggio allagato, è stata creata dal degrado. Un paesaggio tra mare e terra tra mare e acqua dolce adattato alle esigenze industriali. Il caratteristico schema morfologico, definito dall’uso, senza una sua finalità, ad ogni piena, iniziò subito a tramutarsi in un nuovo valore paesaggistico. Quando cinquant’anni fa la produzione del sale fu abbandonata, nella parte meridionale delle saline di Sicciole c’erano più di cento case. Oggi rimangono solo una settantina di rovine, che ricordano l’attività economica un tempo fondamentale della vicina Pirano.

Tratteremo il fenomeno spaziale di uno dei principali canali di navigazione, il Pichetto, nella parte centrale delle saline di Sicciole. Il workshop affronterà le sfide di trasformare l’ambiente costruito sotto l’influenza della natura in un nuovo valore. Con la capacità di lasciare decadere l’architettura storica, come processo autentico e la sfida di come utilizzare di volta in volta tale spazio per le moderne esigenze di osservazione e monitoraggio dei processi naturali. E mettendo in discussione uno dei dilemmi chiave: lasciare costantemente che il mare faccia la sua strada o sforzarsi di mantenere il delicato equilibrio di un malinconico paesaggio industriale trasformato da processi naturali, abitato da uccelli rari e altre creature.

Andrea Codolo + Giacomo Covacich, con Elisa Mapelli

Referenti scientifici Pietro Costa e Saul Marcadent



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Risma

26.06 / 14.07.2023 – aula P

In questo workshop, un gruppo selezionato di studenti ha l’opportunità di contribuire alle attività di comunicazione di Wave 2023. Supervisionati da bruno, studio di grafica e brand editoriale fondato da Andrea Codolo e Giacomo Covacich, gli studenti si occupano della documentazione fotografica, del montaggio video, della creazione di materiali digitali e della gestione dei social media, con l’obiettivo di narrare l’esperienza dei workshop attraverso la produzione di una serie di artefatti visivi avanzati.

Giovanni Pellegrini + Alessandro Pedron + Lorenzo Mason, con Anna Valastro, Marco Vittor e Silvia Scocco

Referente scientifico Pietro Costa

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Lagunaria

26.06 / 14.07.2023 – aula N1

L’obiettivo dei workshop è quello di concepire, progettare e realizzare una mostra che ha come contenuto il docufilm Lagunaria ideato e diretto da Giovanni Pellegrini. Venezia è al centro delle riflessioni di questo laboratorio ed i percorsi narrativi del film sono grandi occasioni per un percorso progettuale completo e stimolante per un evento espositivo di potenziale grande interesse.

Le sezioni della mostra saranno:

– CAMBIAMENTO CLIMATICO. Negli ultimi 100 anni il livello del mare si è alzato di 30 cm. Negli ultimi anni l’aumento si è decisamente accentuato.

– INQUINAMENTO. Nella laguna di Venezia c’è un rifiuto di plastica galleggiante ogni 12 metri.

– AMBIENTE. La laguna di Venezia è l’habitat ideale per centinaia di specie di pesci e di uccelli. Inquinamento, attività antropiche e cambiamento climatico stanno compromettendo irrimediabilmente questo territorio.

– OVERTOURISM. Nel 2018 Venezia è stata visitata da oltre 12 milioni di visitatori. Oggi i numeri sono tornati a

quelli pre-pandemia e il trend è in crescita.

– TRADIZIONI. Venezia è una città unica anche per il suo artigianato. Un settore messo in crisi da un modello di turismo mordi e fuggi.

– CITTADINANZA. La città di Venezia perde circa 1000 residenti l’anno. Non si tratta di un esodo volontario,

semplicemente le case stanno diventando tutte bed and breakfast.

 

Il laboratorio operativamente è organizzato in tre settimane gestite da tre docenti diversi: la prima sarà dedicata all’ideazione e alla concettualizzazione della mostra, la seconda allo sviluppo del progetto definitivo ed esecutivo dell’evento, la terza al progetto comunicativo e alla costruzione della mostra finale.

Durante ciascun workshop, gli studenti saranno seguiti e guidati da professionisti appositamente incaricati:

– settimana 1 (26.06-30.06) / Giovanni Pellegrini (con Anna Valastro)

– settimana 2 (03.07-07.07) / Alessandro Pedron (con Marco Vittor)

– settimana 3 (10.07-14.07) / Lorenzo Mason (con Silvia Scocco)

 

Coordinamento Generale: APML | Pedron / La Tegola architetti

Attila Faravelli, con Chiara Spadaro

Referente scientifico Daniela Sacco



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Nugae

10.07 / 14.07.2023 – aula K1

Il laboratorio ha come oggetto centrale di indagine il field recording e la ‘fonografia’, ovvero quelle pratiche artistiche che utilizzano le tecnologie di registrazione audio al di fuori dello studio di incisione musicale.
Attraverso sessioni di lavoro sia pratiche che teoriche si cercherà di promuovere forme di ascolto semplici, intuitive e situate eppure complesse, stratificate e singolari entro contesti altri rispetto a quelli canonizzati esteticamente dalle grandi narrazioni mediatiche e turistiche riguardanti Venezia.

Durante il seminario saranno effettuate sessioni di indagine sonora sul campo con la guida di Chiara Spadaro, antropologa e geografa, esperta conoscitrice dei ‘paesaggi anfibi’ della Laguna e della città di Venezia, da diversi anni attiva in ricerche effettuate sulle metamorfosi del paesaggio lagunare, l’impatto delle attività antropiche e le conseguenze di un’agricoltura industriale e delle sue lunghe filiere.

La parola nugae, deriva dal latino ed indica appunto delle ‘inezie’, ‘cose da poco’: quei dettagli che solitamente sfuggono all’attenzione. Il termine, ripreso da Zanzotto, è utilizzato da Spadaro nella sua ricerca per suggerire la necessità di porre l’attenzione specificamente nei confronti di quel “ ‘pulviscolìo di microstorie, di nugae’ che disegna mappe finora rimaste nascoste, grazie alle quali possiamo orientarci e consolidare così comunità sensibili e attive nei confronti del luogo-Laguna e della Laguna-

mondo.” (Spadaro, 2023)

In tal senso, ad essere proposto è un approccio al field recording non discriminante nei confronti delle molte configurazioni sonore possibili che si producono nell’incontro tra corpi specifici entro spazi specifici. Attraverso la sperimentazione in prima persona con i dispositivi audio forniti, gli strumenti tecnologici di registrazione saranno appropriati non tanto e non solo come mezzi per catturare suoni, apparati di fissazione di un flusso, quanto piuttosto come dispositivi utili ad ampliare le possibilità di ascoltare, con l’intento di valorizzare una prospettiva ecologica della percezione, intesa come processo inter sensoriale, relazionale, in movimento ed immersivo più che come contemplazione statica, analitica e separata dei fenomeni. Saranno inoltre messi in discussione gli approcci alla narrazione sonora che dominano gli attuali prodotti di intrattenimento, e di consumo, che usano il suono come mezzo di espressione principale (podcast e radiodocumentari) che conferiscono un primato quasi esclusivo alla voce umana e che strutturano la propria forma secondo i canoni dello story telling e della consequenzialità logica. Durante il laboratorio saranno verificate degli approcci possibili ad un lavoro sul suono che sia sensibile ed organico, che integri da una parte gli attori non umani, e che dall’altra degli attori umani esponga la dimensione materiale e di co-appartenenza con l’ambiente.

Non sono richieste competenze in ambito musicale per partecipare.

Enrico Malatesta, con Chiara Pavolucci

Referente scientifico Daniela Sacco



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No Islands but Other Connections

03 / 07.07.2023 – aula K1

No Island But Other Connections è un workshop di ascolto e un format di condivisione che usa il dialogo, il camminare e l’esercizio, per unire l’indagine del suono alla performance, al map-making, alla narrazione visiva e alla produzione di testi per documentare l’esperienza aurale.

Il seminario propone esperienze di ascolto di base e una loro stratificazione nell’incontro con il territorio di Venezia e la sua Laguna. Partendo dal corpo – risorsa conoscitiva basilare e sempre accessibile – si indagano i fenomeni acustici e la produzione di suono per ri-definire i concetti di relazione e abitabilità, familiarità e immersione, movimento (metamorfosi) e stabilità delle informazioni in relazione all’architettura e all’ambiente, per promuovere l’ascolto come risorsa progettuale e conoscitiva. Con il dialogo e con alcuni esercizi, verrano dispiegate le implicazioni dell’ascolto in architettura, fotografia, musica, ecologia, antropologia e nelle arti performative, in un flusso informale di condivisione orientato al thinking through making ed allargare le modalità di osservazione, utilizzando come strumento di partenza la responsività dello spazio alla presenza del (proprio) corpo.

Successivamente i partecipanti saranno invitati ad agire in autonomia e a produrre alcune tracce delle proprie esplorazioni, elaborando un formato text-based per fissare e rendere condivisibile la propria esperienza di ascolto attraverso una sua traduzione scritta. I testi raccoglieranno le informazioni e le sensazioni accumulate nell’azione individuale: una sorta di documentazione trasmissibile, ma non mediata da un dispositivo iper-sofisticato, come ad esempio una macchina fotografica o un registratore audio, che tendono a solidificare il flusso di realtà da esse raccolto in base alle implicazioni culturali della loro tecnologia.

Per quel che riguarda il suono, le indagini partono da possibilità immediate per eccitare lo spazio, generando fenomeni acustici che rispondono a variazioni minime della

relazione tra il corpo e ciò che lo circonda. In merito alla percezione visiva invece, le istruzioni partiranno da una pratica dedicata alla memoria e all’affetto, per indagare il movimento in luce dei dintorni di un corpo nello spettro di intimità che si crea a volte, con alcuni brani di una città.

Il proponimento del seminario è la consuetudine all’ascolto della complessità: partendo dalle esperienze individuali e dalle affordances già presenti in situ, si tracceranno derive eventuali (walks) e un sapere condiviso che diventa potenzialmente un workshop di ascolto inesauribile, emergente dalle modalità di relazione tra suono-spazio-corpo proposte dai partecipanti e fissate nei testi scritti/istruzioni.

Il seminario è realizzato con l’assistenza di Chiara Pavolucci la quale, oltre a contribuire alla discussione sull’ascolto attraverso il suo portato artistico, raccoglierà materiale fotografico per documentare visivamente l’ambito di azione e di ascolto dei partecipanti a No Island But Other Connections

Maria De Ambrogio + Stella Tosco

Referente scientifico Saul Marcadent

 

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White Collage n° 1

26.06 / 30.06.2023 – magazzino 6, aule 2.1 e 2.3

White Collage n° 1 tiene insieme la progettazione di moda e le pratiche di upcycling, il lavoro a maglia e la tecnica del moulage. Il workshop riflette sul tempo e sul prendersi il proprio tempo, mescolando concetti e tecniche, utilizzando scarti tessili, filati e tessuti riciclati, in sintonia con l’approccio alla progettazione di Serienumerica, marchio fondato dalle fashion designer Maria De Ambrogio e Stella Tosco. Realizzato in collaborazione con l’azienda Manteco, il workshop è parte del più ampio progetto di ricerca Tempi responsabili–Responsible Times, volto ad approfondire la cultura della sostenibilità e le relazioni tra industria della moda e intelligenze e saperi artigianali.

Referente scientifico Carmelo Marabello

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Muro d’acqua. Immaginare la laguna al tempo del Mose

26.06 / 14.07.2023 – aula J1

Premi

Votazioni e Premiazione 

In quest’edizione Wave 2023 gli studenti saranno la giuria per eleggere i sei Workshop vincitori, uno per ognuna delle sei categorie di voto.
Tutti gli studenti sono chiamati a votare! 

 

Categorie di voto
Categoria 1: Paesaggi e Contesti
Categoria 2: Incertezze
Categoria 3: Immaginari

Categoria 4: Proposte Integrate

Categoria 5: Espressività

Categoria 6: Vivere Insieme

 

Come si vota?
Ritiro Scheda di Voto – Ingresso e Aula G1
Giovedi 13 Luglio entro le 22.00

 

Presentazione e Inaugurazione dei Workshop
Venerdi 14 Luglio a partire dalle 9.00

 

Votazione per categoria
Venerdi 14 Luglio entro le 16.00

 

Consegna Scheda di Voto – Ingresso

Venerdi 14 Luglio non oltre le 16.00

 

N.B. Per ciascuna delle sei categorie di voto si può esprimere una sola preferenza.
Non è possibile votare per il proprio Workshop di Appartenenza.

Programma

09:00

Tolentini, Chiostro

Orientamento

11:00

Tolentini, Aula Magna

Inaugurazione

Saluti di Benno Albrecht, rettore

Interventi di Tiziano Scarpa e Matteo de Mayda

13:00

Tolentini, Giardino

Light lunch

14:30

Cotonificio Veneziano

Inizio dei lavori dei singoli atelier

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

12:00

Cotonificio veneziano, Auditorium

Indigenous Architecture of Zaaimanshoek in Bavianskloof

Proiezione documentario e dibattito 

17:00

Cotonificio veneziano, Auditorium

Architecture, Landscape, and Sustainability

Poggione + Biondi Arquitectos, Perù

Presentazione della pubblicazione con gli autori Josep Maria Montaner e Zaida Muxí

Saluti di Benno Albrecht

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

17:00

Cotonificio veneziano, Auditorium

Cities and Water

Iñaki Alday, Margarita Jover

Aldayjover architecture and landscape

Introduce Tiziano Aglieri Rinella, discussant Laura Zampieri

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

16:00

Tolentini, Aula Magna

Ricoveri in the Arab Region: Equitable, Sustainable and Just Reconstruction

Conferenza di Abdullah Dardari

18:00

Tolentini, Chiostro

GOM – Giovane Orchestra Metropolitana, Venezia

Concerto

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

20:30

Base Nautica Sacca San Biagio, Isola di Sacca Fisola

Girorizzonte

Fashion at Iuav 2023

BA+MA Graduation Show



09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

17:00

Cotonificio veneziano, giardino

Presentazione Wavers: Unexpectedness and Variables

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

12:30

Tolentini, Rettorato

1×1. 83 projects by professors at Escola da Cidade – São Paulo

Inaugurazione mostra

a cura di Elisa Vendemini, Jacopo Galli, Alvaro Razuk

introduzione di Benno Albrecht, Ciro Pirondi



17:30

Cotonificio veneziano, giardino

Presentazione Wavers: Temporalità and Evolution

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

17:00

Tolentini, Aula Magna

Conferenza Vittorio Gregotti 2023

João Luís Carrilho Da Graça, Lisboa

Vittorio Gregotti Lecture 2023

Introduce Roberta Albiero


A seguire: cerimonia di assegnazione del Premio di laurea magistrale Vittorio e Marina Gregotti 2023

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

17:30

Cotonificio veneziano, Auditorium

The Lake of Venice

A scenario for Venice and its lagoon

Presentazione del volume con gli autori Lorenzo Fabian (Università Iuav di Venezia) e Ludovico Centis (Università degli Studi di Trieste)

Ne discutono con Ila Bêka (Bêka & Lemoine), Georg Umgiesser (ISMAR-CNR), Luca Velo (Università Iuav di Venezia)



09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

17:30

Cotonificio veneziano, giardino

Presentazione Wavers: Palimpsest and Permanences

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

17:30

Cotonificio veneziano, giardino

Presentazione Wavers: Coexistence and Communities

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

19:00

Cotonificio veneziano, giardino

Laguna Futuri

Esperienze e Progetti

Ne discutono gli autori Marta De Marchi, Michela Pace, Maria Chiara Tosi e Luca Velo con Maddalena Bassani, Andrea Pertoldeo e Remi Wacogne.

Introduce Andrea Iorio.

09:00

Cotonificio Veneziano

Work in Progress

09:00

Cotonificio Veneziano

Vernissage

18:00

Cotonificio veneziano, giardino

Premiazioni

09:00

Cotonificio Veneziano

Mostra degli esiti finali aperta al pubblico

09:00

Cotonificio Veneziano

Mostra degli esiti finali aperta al pubblico

09:00

Cotonificio Veneziano

Mostra degli esiti finali aperta al pubblico

Colophon

Università Iuav di Venezia

Wave 2023

 

Waves

 

Evento all’interno della Biennale della Sostenibilità L’era del Mose

Promosso da Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità

 

26 giugno – 14 luglio 2023

Cotonificio veneziano

Coordinamento Wave 2023

Andrea Iorio

 

Comitato scientifico Wave 2023

Francesco Bergamo, Riccarda Cantarelli, Lucilla Calogero, Pietro Costa, Jacopo Galli, Andrea Iorio, Saul Marcadent, Tiziano Aglieri Rinella, Federica Rossi, Daniela Sacco

 

Staff organizzativo

Fabio Carella, Amina Chouairi, Anna Ciprian, Andrea Fantin, Alvise Moretti, Giulia Nicosia, Francesca Ulivi

 

Staff amministrativo

Lucia Basile, Federico Ferruzzi

 

Identità visiva

b-r-u-n-o.it

 

Web development

Irene Sgarro

Contatti