Università Iuav di Venezia
Wave 2024

Walkable Architectures

24 giugno – 12 luglio 2024

Wave 2024 è dedicato all’architettura, alle città e ai territori visti nel loro costruirsi e trasformarsi in relazione al movimento umano, in particolare allo spostarsi a piedi.

L’attività del camminare rappresenta da sempre una delle forme essenziali di interazione con il mondo, è modalità primordiale di acquisire consapevolezza dello spazio e cognizione del territorio. Nell’uso linguistico il termine possiede una dimensione figurata che tende a prevalere su quella letterale, offrendo la più fortunata e versatile metafora riferibile alla vita umana tout court. Nella sua declinazione spirituale diventa sinonimo di ricerca e conoscenza, segue percorsi lineari o ramificati, retta via o vagabondaggio. Fino al prevalere della valenza erratica, spostamento ‘senza possibile riposo’, esule e ramingo, più condizione imposta che intenzionale, più un ‘muoversi da’ che un ‘andare verso’.

Assai ricco è pure il ventaglio di sfumature che l’azione può assumere e le immagini di volta in volta associabili: esplorazione, pellegrinaggio, marcia, passeggiata, deriva, sono tutte declinazioni in grado di evocare altrettanti tipi di spazi. Alcuni più compressi, altri più rarefatti, alcuni prettamente urbani, altri legati a una condizione di orizzonte lontano. Spazi percorsi dal corpo individuale, in modi intimo e personale, o spazi attraversati da moltitudini di corpi, secondo forme collettive più o meno ritualizzate. Seguendo traiettorie fisiche o stabilendo relazioni visive. Coprendo grandi distanze o intensificando l’uso del suolo.

Allo stesso tempo il camminare costituisce una delle condizioni essenziali dell’interazione sociale: favorisce incroci e incontri, permette avvicinamenti e allontanamenti, dà configurazione spaziale alle molteplici articolazioni del dialogo. Non è un caso che numerose siano le esperienze recenti che, proprio sull’introduzione o sulla promozione della pedonalità, basano processi di rigenerazione di parti più o meno ampie di città e territori. Non si tratta tanto del fatto che il tempo dello spostamento a piedi – siano essi 5, 15 o n minuti – può diventare unità di misura per ridistribuire funzioni e pianificare sistemi urbani o territoriali. È piuttosto la ridotta velocità a essere messa in relazione, in termini qualitativi, con l’intensificazione dell’esperienza spaziale e sociale, offrendo l’opportunità di esplorare nuovi modi possibili per la vita collettiva del prossimo futuro.

Oggetto di indagine di Wave 2024. Walkable Architectures è proprio la trasformazione o la costruzione di architetture, parti di città o di territori sulla base dell’essere attraversati ed esperiti camminando. Siano esse oggetto di esplorazioni, pellegrinaggi, marce, passeggiate, derive, o delle numerose altre declinazioni possibili che emergeranno dai lavori dei 16 atelier. Ancora una volta, come è ormai tradizione per Wave, Venezia con i suoi 194 chilometri di percorsi pedonali è chiamata a testimone, sorta di atlante a cielo aperto delle molteplici forme in cui le relazioni umane possono prendere corpo architettonico in una città interamente ‘camminabile’. Il luogo in cui si svolge il workshop, allora, non è soltanto un suggestivo sfondo, ma – almeno nelle intenzioni – vera e propria ‘scena a reazione poetica’.

 

Andrea Iorio
coordinatore Wave 2024

Atelier

AMaze. A Game Called Venice

Magazzino 6 – aula 1.2-1.4-1.6

Roberta Albiero + Arabella Guidotto
con Federico Muratori

 

 

AMaze è un percorso fisico e cognitivo, muscolare e percettivo all’interno del tessuto urbano di Venezia.

Un percorso attenzionale alla scoperta dello spazio fluido che struttura la città. Un labirinto multicursale in grado di attivare un’esperienza Haptic nel quale il corpo è inteso come sintesi tra il basso, la terra, il peso, il buio, il compatto; e l’alto, l’aria, la luce, il vento, la leggerezza. A fronte della riduzione del repertorio dei movimenti attivi anche nonostante ci si muova sempre più velocemente, assistiamo al progressivo scollamento del corpo dallo spazio: sperimentare un’interazione articolata e consapevole con la sostanza reale dello spazio è l’obiettivo di AMaze.

Il percorso/viaggio di AMaze è articolato in tre esercizi di interazione tra la forma del corpo e la forma costruita e nella realizzazione di un progetto collettivo: un gioco urbano.

Islands of Commons

Cotonificio veneziano – aula A2

Campiello in Venice – 1890 – RIBA Collection

Architensions / Alessandro Orsini + Nick Roseboro
con Giona Carlotto

 

 

Lo sguardo, che abbraccia questi universi di segni sempre più configurati come apparizioni inquietanti, non ottiene da essi che indicazioni ermetiche per imboccare sentieri che si avvolgono a spirale nelle profondità dell’intransitabile.
(Manfredi Tafuri, “L’éphémère est éternel. Aldo Rossi a Venezia,” Domus 602, gennaio 1980, pp. 7-11)

 

A causa della sua peculiare geografia e idrografia Venezia è sempre stata una città da percorrere in due modi. Il primo è tramite barca attraverso l’intricato sistema dei canali e l’altro a piedi muovendosi attraverso la rete delle calli, fondamenta, campi e ponti. Venezia è costruita su centodiciotto piccole isole galleggianti sull’acqua della laguna, che definiscono la sua complessità urbana come rappresentato dalla vista a volo d’uccello di Jacopo De Barbari, definendo già la dualità esplorativa di Venezia: quello dell’acqua e quello delle calli. Alcuni considerano il camminare un’attività solitaria, ma muoversi attraverso la città stessa è un atto sociale e politico. Quando camminiamo, ci fondiamo con persone diverse in un atto che ci permette di occupare lo spazio pubblico, comunare con gli altri, esprimere una posizione politica, o spostarci da un luogo all’altro per lavoro o svago. Il lavoro è direttamente collegato e guida la necessità e il desiderio della società di produrre merci e varie forme di cultura che definiscono la nostra vita.

Oggi, Venezia è diventata l’epitome di una città sovraffollata dai turisti, affascinati dal patrimonio culturale della città, dalla tradizione artigianale, dallo spettacolo magico del carnevale veneziano, dalla Biennale e dal Festival del Cinema di Venezia, che riempie la città di celebrità e paparazzi. Venezia sembra cadere nella “Società dello Spettacolo” di Guy Debord, dove le esperienze di vita sono sostituite dalle realtà costruite dalla cultura consumistica promossa dal cinema, dalla televisione, dalla pubblicità e dalle celebrità. Debord sostiene che l’architettura e l’amministrazione dello spazio rientrano nella stessa logica, dove il capitalismo usa l’urbanistica come strumento di separazione. A Venezia, questa logica è diventata responsabile dello spopolamento dei residenti che si spostano verso l’interno a causa della crisi abitativa legata alla proliferazione degli affitti a breve termine, che ha creato un forte calo della disponibilità di alloggi. Attraverso la lente del tempo libero, Venezia è un luogo di spettacolarizzazione e divertimento, mentre altre attività sono nascoste in piena vista, un’eterotopia. Allo stesso tempo, Venezia è pervasa da elementi di quello che Jonathan Crary chiama “luoghi di realtà” dove le sue qualità eterotopiche risiedono nel turismo, nel ritualismo e nel cambiamento delle soggettività, sia temporanee che transitorie. Seguendo la pratica della dérive, secondo la definizione di Debord, possiamo muoverci attraverso questo contesto urbano abbandonando il nostro rapporto con il lavoro e il tempo libero, guidati dalle variazioni psicogeografiche e dagli incontri inaspettati.

Questo workshop esplora il ruolo del camminare, del muoversi e dell’avanzare attraverso la Venezia contemporanea e come queste azioni possano definire nuovi spazi per i residenti da occupare e condividere. Il workshop si interroga su come i corpi con abilità diverse possano vivere Venezia al di là del camminare, e se la fluidità dei canali possa ispirare nuovi movimenti ed esperienze. Il workshop guiderà gli studenti nel familiarizzare con la città seguendo percorsi, descrivendo linee e punti, cercando suoni e odori, e riposando per definire aree e nuovi tipi di superfici. Partecipando a queste attività si incoraggerà la moltiplicazione degli spazi per favorire ai residenti un senso di appartenenza. Il workshop si concentrerà sulla produzione di cartografia critica, come mezzo per indagare sulle condizioni nuove e vecchie, sul ri-immaginare come le calli, i campi, le fondamenta e i ponti possano essere trasformati in risorse comuni per i residenti.

Coreografie urbane
Cotonificio veneziano – aula J

© Serge Demailly

Marc Barani
con Mattia Michieletto, Alessio Tamiazzo

 

 

Quando guardiamo alla questione dei luoghi di movimento a lungo termine nei territori e nelle città, vediamo un paradosso. Sebbene il movimento sia effimero, fugace e intangibile, esso crea spazi che durano molto più a lungo dell’ambiente costruito. Il vuoto che genera, che forma la rete di percorsi, strade, piazze e infrastrutture di trasporto, resiste alla trasformazione urbana, anche di fronte a distruzioni violente come la guerra. Questo vuoto è al tempo stesso la spina dorsale del tessuto urbano e il suo flusso sanguigno.

Se questi spazi resistono è anche perché costituiscono lo spazio pubblico, il bene comune. Sono multifunzionali e possono evolvere molto rapidamente come piattaforme disponibili.

 

Il workshop si propone di mettere in discussione la nozione stessa di spazio pubblico nell’area geografica di Venezia e delle sue infrastrutture.

 

Basandosi su :
• la definizione di “pubblico”, tenendo presente che culture diverse dalla nostra non distinguono tra pubblico e privato, preferendo l’idea di un uso variabile nel tempo e nello spazio.
• il potenziale scenografico di questi luoghi per dare una visione diversa del paesaggio e per attivare o energizzare le relazioni umane e l’abitare.
• le posizioni di alcuni movimenti artistici come l’Internazionale Situazionista e il suo concetto di psicogeografia.

Architettura della Festa

Cotonificio veneziano – aula B

Fireworks © Stefano Graziani

baukuh / Paolo Carpi + Vittorio Pizzigoni + Andrea Zanderigo
con Marianna Giannini, Fabio Santonicola

 

 

Venezia è luogo di feste. Città fuori dal mondo, utopia realizzata, essa rappresenta al meglio la varietà del mondo stesso.

La festa pubblica è di certo il rito sociale più inclusivo: si festeggia sempre ‘insieme’ agli altri, mai in opposizione ad ‘altri’. Le grandi feste veneziane, il Carnevale e la Festa del Redentore, non fanno eccezione: la diversità e la trasgressione sono funzionali alla riaffermazione dell’unità e dell’ordine. In esse convivono la critica al potere e la sua riaffermazione.

L’architettura si è da sempre occupata di dare forma agli spazi delle feste. Il progetto degli spazi e dei percorsi, degli apparati effimeri e delle scenografie urbane trasformano la città in una sorta di teatro in cui si svolge il rito sociale della festa. L’architettura si è da sempre nutrita di questa circolarità tra norma e trasgressione.

Il 15 luglio 1989, in occasione della Festa del Redentore, i Pink Floyd tennero un concerto gratuito a Venezia suonando da un palco galleggiante ancorato nel bacino marciano. Il luogo del concerto è lo stesso occupato solo dieci anni prima dal Teatro del Mondo: un omaggio di Aldo Rossi a questa lunga tradizione di feste e di padiglioni galleggianti. Il concerto porta a Venezia una quantità di pubblico tale da far dubitare che la città sia in grado di sopportare un assalto turistico talmente massificato. In quell’anno Venezia era candidata ad ospitare l’Esposizione Internazionale dell’anno successivo, ma il concerto dei Pink Floyd mise in luce le fragilità della città lagunare. Si disse che Venezia non avrebbe potuto sopportare una simile quantità di turisti senza subire gravi danni e così, per fini conservativi, si decise di ritirare la candidatura a sede dell’Expo.

Tale decisione sembra oggi quasi ridicola se si pensa a come nei decenni successivi Venezia sia stata presa d’assalto dal turismo di massa. Un assalto incentivato dalle istituzioni e dove le voci preoccupate per la fragilità della città saranno sempre più deboli. Oggi i recenti tentativi di controllare gli accessi a Venezia vanno solo apparentemente in una direzione opposta. I nuovi scali delle crociere a Marghera, il potenziamento dell’aeroporto, i nuovi parcheggi di San Giuliano sembrano al contrario funzionali ad accrescere ulteriormente il numero di turisti della città lagunare, anche immaginando nuove vie di accesso meno intasate di quelle attuali.

 

L’architettura della Festa del Redentore è l’oggetto di studio e di progetto del workshop. Gli studenti lavoreranno ad un grande disegno delle aree coinvolte dai festeggiamenti, progetteranno oggetti, luoghi e attrazioni capaci di rendere ancora più spettacolare il bacino marciano. La storia della Festa del Redentore dal 1577 ad oggi, e dei diversi spettacoli che vi si sono svolti, arricchiranno il catalogo di esempi utili al progetto.

 

Il primo giorno del workshop ogni studente dovrà presentarsi con un immagine o una pianta di una festa in cui l’architettura ha avuto un ruolo primario, stampata su un foglio A4 orizzontale.

Branded Architectures. A New Retail Landscape

Magazzino 6 – aula 2.1-2.3

Adam Brinkworth + Sofia Prantera / Aries Arise
con Marco Marino, Caterina Mattiolo, Aureliana Rizzo

 

 

L’edizione 2024 di Wave esplora l’attività del camminare come modo di interagire con l’ambiente circostante. Venezia è un luogo unico, più paragonabile a un museo esteso o a un parco a tema che a una città tradizionale; tutto a Venezia è spettacolo; i turisti vivono la passeggiata a Venezia come una mostra d’arte. Il workshop esplorerà l’idea relativamente nuova di combinare spazi commerciali con esperienze culturali, ambienti, luoghi ed eventi, ma chiedendo di capovolgere il concetto di partenza: come può qualcosa di percepito come commerciale offrire un’esperienza utile, che non si basi solo sull’acquisto di qualcosa?

 

Exit Through the Giftshop

 

Conosciamo fin troppo bene la passeggiata forzata attraverso uno spazio commerciale; che si tratti di cercare l’uscita da una stazione di servizio dopo essersi fermati per un caffè e finire in un labirinto di finti prodotti alimentari locali o di viaggiare in un aeroporto quando siamo costretti ad attraversare un percorso serpeggiante di duty free o di uscire da un negozio di souvenir di un museo dove siamo incoraggiati ad acquistare una versione sempre più ampia e poco stimolante del merchandising dell’arte che abbiamo appena sperimentato o anche di camminare in una città come Venezia dove le versioni prodotte in serie dei suoi famosi edifici, delle vetrerie e dei merletti, sono onnipresenti. Ovunque andiamo siamo costantemente bombardati da richieste e promemoria per acquistare souvenir della nostra esperienza.

Noi sosteniamo che invertire questo concetto può offrire un’esperienza più autentica e un modo più sostenibile di far crescere un marchio. Nella nuova economia dei dati, in cui i follower e i visitatori diventano più preziosi degli acquisti, qual è il ruolo del prodotto? Come si costruisce la propria comunità? Come può un business rimanere sostenibile? Come può essere scalato? Crediamo che i veri marchi che cambiano paradigma siano quelli che riconoscono l’importanza della collaborazione e della costruzione di connessioni autentiche all’interno degli spazi. Studiano i loro clienti e comprendono le loro esigenze. Sebbene siano ancora spazi di transazione, queste transazioni sono culturali, basate sulla comunità e guidate dall’esperienza piuttosto che puramente commerciali.

Aries è un esempio di marchio commerciale che mira a sovvertire questo rapporto tra commercio/arte e moda, pur rimanendo finanziariamente indipendente. Nel 2016 Aries ha pubblicato “Click to Buy”, un gioco di parole sulla pubblicità dei marchi commerciali che sovverte il modo in cui il marchio viene utilizzato in un’immagine di moda tradizionale. Nel 2018 ha collaborato con gli artisti Jeremy Deller e il fotografo David Sims per creare Wiltshire b4Christ, una mostra di merce d’arte acquistabile marchiata con simboli pagani. Nel 2023 ha aperto un negozio di 400 mq a Soho che funge da centro per eventi, comunità, mostre, musica e biblioteca. Brinkworth ha progettato il negozio in modo che fosse completamente modulare e adattabile a diversi ambiti ed esigenze; tutto è mobile, intercambiabile.

 

Questo workshop vi guiderà allo sviluppo di un concetto simile: un marchio e uno spazio in cui cultura, esperienza e prodotto si fondono senza soluzione di continuità, in cui ciò che è in vendita è importante quanto ciò che si sperimenta e, soprattutto, un luogo in cui si è invitati a rimanere e che è mantenuto sostenibile attraverso la vendita dei prodotti.Con il nostro supporto vi verrà chiesto di creare un marchio che venda qualsiasi tipo di prodotto (alcolici, CBD, caffè, cioccolato, ecc.) e di progettare e realizzare il suo innovativo merchandising e lo spazio in cui è ospitato. Nel corso delle 3 settimane progetterete un logo e un concetto per il vostro marchio, realizzerete un prodotto e una merce, troverete un modo innovativo per esporre i vostri prodotti e progetterete lo spazio in cui è ospitato, che dovrà offrire un’esperienza memorabile: musica, arte, intrattenimento.

Die Welt als Labyrinth / Il mondo come labirinto

Cotonificio veneziano – aula C

Stalker, Attraverso i Territori Attuali / Through the Actuals Territories, Roma 1995, acrilic on polyester, courtesy Stalker Archive

Francesco Careri / Stalker – UniRomaTre
con ETICity, Edoardo Fabbri, Simone Lavezzaro, Alberto Marzo, Sara Monaco

 

 

Nel 1959 l’Internazionale Situazionista aveva organizzato allo Stedelijk Museum di Amsterdam una mostra dal titolo Die Welt als Labyrinth / Il mondo come labirinto, un’opera collettiva pensata come un unico ambiente labirintico che percorreva il museo dall’esterno all’interno. Il pubblico entrava liberamente “come garanzia di non sottomissione all’ottica dei musei” da un grande buco nel muro come una breccia da scavalcare, e da qui cominciava un percorso con porte a senso unico, la cui lunghezza poteva variare dai 200 metri ai 3 chilometri a seconda delle porte che si aprivano, mentre il soffitto variava continuamente fino ad un’altezza di quasi un metro. L’ atmosfera interna era una commistione di interni domestici ed esterni urbani, con piogge, venti, nebbie artificiali, giochi luminosi, termici e sonori, insieme a veri e propri ostacoli che disorientavano e spaesavano gli spettatori che avrebbero dovuto perdersi costruendo i propri percorsi. La mostra non ebbe luogo per controversie con il direttore del museo che per motivi di sicurezza aveva interferito con la creazione del labirinto sottoponendolo alla supervisione dei vigili del fuoco. Una riunione del gruppo votò all’unanimità di annullare la mostra.

In omaggio alla mostra non realizzata dei situazionisti, si propone di esplorare il labirinto di Venezia perdendosi attraverso la teoria della deriva urbana, e interrogandosi su cosa significa la parola walkability in una città turistica ed escludente non solo per chi è privo di abilità fisica ma anche di documenti, di cittadinanza o semplicemente di reddito. Si tratterà di scegliere dei luoghi in cui, progettare e in parte realizzare, uno spazio labirintico capace di raccontare la camminabilità di Venezia. Il corso è diviso in tre settimane: nella prima settimana la mattina si terranno delle lezioni teoriche sulla relazione tra nomadismo e architettura, nel pomeriggio si andrà a camminare negli spazi urbani del centro storico lagunare e di Mestre e Marghera nella terraferma, con l’obiettivo di inciampare in un progetto. Nella seconda settimana si tratterà di tornare nei luoghi scelti per immaginare e disegnare il progetto in situ, se possibile insieme a chi quotidianamente utilizza quegli spazi. Nella terza settimana, in vista della mostra finale si cercherà di realizzare almeno in parte il progetto, installarlo in situ con gli abitanti, e infine rappresentarlo con i mezzi dell’arte e dell’architettura negli spazi dello IUAV. Sono ammessi progetti di gruppo di massimo tre persone.

 

Per info sui situazionisti e sull’approccio del docente: www.articiviche.blogspot.com

Philadelphia Tomorrow

Cotonificio veneziano – aula G

Armando Dal Fabbro + Vincenzo d’Abramo + Claretta Mazzonetto
con Hui Li

 

 

Philadelphia Tomorrow è il titolo proposto per l’esperienza del workshop Wave 2024. Il pretesto parte dal tentativo di provare a suggerire una nuova visione del waterfront orientale di Philadelphia in relazione al suo Downtown, ovvero al riconoscibile assetto della città di fondazione, pensata e disegnata da William Penn nel 1682.

Il territorio e il disegno di Philadelphia sono fortemente caratterizzati dalla presenza dei due fiumi che ne lambiscono i bordi e che ne definiscono la misura: il Delaware, che divide la Pennsylvania dal New Jersey, e lo Schuylkill, un suo affluente. Tra i due fiumi, il Downtown rimane ancora il fulcro urbano, culturale, sociale dei suoi abitanti, anche se lo sviluppo della città l’ha portata a espandersi ad ovest, oltre lo Schuylkill, con l’importante formazione del campus universitario dell’University of Pennsylvania e, a sud, definendo nuove aree residenziali e un nuovo porto fluviale.

Proprio la costruzione di questo nuovo attracco meridionale della città ha portato con il tempo a un progressivo abbandono dell’antica area portuale a est sul Delaware, dove la centrale Market Street dal Philadelphia City Hall conduceva ai popolari quartieri del porto, in parte ancora oggi visibili, anche se trasformati e riconvertiti, e alla zona dei moli. Rimangono oggi sporadiche testimonianze di questo carattere portuale, con i docks e i grandi magazzini che si affacciano sul grande fiume, e un discreto e puntuale tentativo di rigenerare questa area, ma che non tengono conto di un disegno d’insieme, che consideri l’area fluviale e il suo rapporto con il Downtown. Inoltre la presenza di un’importante arteria autostradale che passa parallelamente al fiume Delaware – la I-95 che connette tutta la East Coast statunitense, collegando tra le altre città New York e Washington – ha tagliato completamente la zona dei moli, separandola figurativamente e spazialmente dalla città.

Lo sviluppo e l’idea di una città alternativa è però possibile. Innanzitutto riprendendo i due grandi piani per Philadelphia degli anni ’60: uno per opera di Louis Kahn, elaborato negli anni 1961-62, e poi quello di Edmund Bacon del 1967, in parte realizzato, e che è poi confluito nell’importante studio e lavoro sulla costruzione e sullo spazio della città nel libro Design of City.

I due progetti, diversi e complementari, mettono in luce la possibilità di costruire una città dallo sviluppo alternativo a quella attuale, soprattutto ripensando al rapporto tra infrastrutture ‘meccanizzate’ e spazi pedonali, alla definizione di quelli che Louis Kahn chiamava «porti urbani», che separassero la mobilità delle grandi arterie automobilistiche alla ‘città dei pedoni’. I due progetti, infatti, muovono in una direzione comune: quella della definizione dell’antica città di fondazione quasi come un’insula, dove il tema infrastrutturale non fosse il tentativo di separare le aree della città, ma occasione di ripensare alle connessioni urbane e alla fruizione dei luoghi significativi della città: il lungo parco della Independence Hall, le piazze giardino, la centrale City Hall e la relazione tra la città e i suoi due fiumi.

Il lavoro che si vorrebbe condurre con gli studenti è dunque quello di studiare un progetto per una città a scala umana, dove il rapporto tra il centro e i due fiumi torni a essere un tema centrale, alternativo allo sviluppo della città delle macchine e delle infrastrutture, un progetto che guardi retrospettivamente, ma con una visione sul futuro della città, alle quattro piazze giardino di fondazione – Washington Square, Rittenhouse Square, Franklin Square e Logan Square aperta verso il Museo d’Arte di Philadelphia – come luoghi per creare lunghe vedute sull’acqua, lontani dai rumori della strada e scorci verticali. Una città che riconsideri i suoi spazi e le sue lunghe prospettive, partendo dagli elementi che con il tempo ne hanno definito la struttura compositiva e la qualità intrinseca nel rapporto tra geometria e strutture naturali.

 

Bibliografia
Edmund Bacon, Design of City, The Viking press, New York, 1967.
Heinz Ronner, Sharad Jhaveri, Louis I. Kahn. Complete work 1935-1974, Birkhauser, Basel, Boston 1977.
Louis I. Kahn, Toward a Plan for Midtown Philadelphia, in «Perspecta», n. 2, 1953, pp. 10-27.

Ascoltando Abbey Road. Esercizi di stile per la città obliqua

Cotonificio veneziano – aula F

Fernanda De Maio + Alessandro De Savi + Vittoria Sarto + Alessia Scudella
con Elena Marchiori

 

 

Negli anni Cinquanta del secolo scorso un libro (americano) e un film (italiano) mettono la strada al centro del racconto. Che si tratti dell’America o dell’Italia, le strade in cui si muovono  il racconto di Jack Kerouac – On the road, 1951 – e il film di Federico Fellini – La Strada, 1954 – sono il simbolo del nomadismo e del vagabondare. Poco importa che il primo racconto avvenga da un punto all’altro del vasto continente di città e paesaggi statunitensi in automobile, con l’autostop o sui famosi autobus Greyhound mentre il vagabondare tra le città e i paesaggi del centro Italia, ancora devastate dagli effetti delle distruzioni della II guerra mondiale del roadmovie di Fellini, avvenga a piedi o sullo sgangherato furgoncino di Zampanò; le strade descritte da queste opere sono quelle ordinarie e banali intese come pura infrastruttura. Ciò che conta di questi percorsi è la vita occasionale non pianificata che vi si svolge e i contesti che attraversano.

Altre strade di altre città assumono ruoli molto differenti, valgono in se stesse, in quanto architetture vere e proprie, sono il frutto di pensieri e progetti di architetti che tendono a rendere il vuoto pubblico urbano o extraurbano e l’esperienza del camminare e della vita quotidiana che si svolge un fatto memorabile per la qualità architettonica che realizzano; oppure si tratta di percorsi frutto del lavoro di mastri costruttori anonimi che nei secoli però hanno impresso una identità particolare alla città. A queste strade e all’intreccio tra strade, rampe, scalinate e  piazze che strutturano un certo modo di muoversi all’interno di città e paesaggi in un tempo variabile tra i due e i trenta minuti volge la propria attenzione questo corso.  In particolare si indagherà il passeggiare attraverso tre modalità: il passeggiare in piano come accade nei portici di Bologna nati da qualcosa che oggi definiremo “abuso edilizio” e che a partire dal 2021 fanno parte del patrimonio mondiale dell’Unesco, o nei Passages che innervano Parigi; il passeggiare in obliquo per guadagnare la quota, di cui troviamo a Roma esempi eccellenti d’autore con la scalinata di Trinità dei Monti e le Cordonate; il passeggiare in quota come accade a Firenze nel sistema Uffizi-corridore vasariano. Verranno forniti dalla docenza dettagli di queste strade pedonali memorabili affinché gli studenti possano ricostruire attraverso ridisegni in sezione ed esplosi assonometrici nonché modelli in scala, le caratteristiche architettoniche e compositive di questi percorsi, al fine di comprendere come ritmi compositivi, geometrie e materiali costruiscono l’architettura della strada e connotano la città pedonale storica e contemporanea.

 

Bibliografia
Jack Kerouac, sulla strada, Mondadori, 2016.
Walter Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo, Einaudi 1986.
Jane Jacobs, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Einaudi 2009.
Clarence Perry, L’unità di vicinato (1929), brani tradotti in  http://www.cittaconquistatrice.it/lunita-di-vicinato-1929/

Danze quotidiane

Cotonificio veneziano – aula A1

Pavimento della casa di Jackson Pollock e Lee Krasner a Long Island

franzosomarinelli / Mirko Franzoso + Mauro Marinelli
con Tiziano Deromedi, Filippo Ferro, Guillermo Sánchez Cárdenas, Kevin Santus

 

 

I sentieri che solcano un prato sono sia il luogo in cui si cammina sia il prodotto stesso del camminare. Sono effetto e ragione del loro essere percorsi. Sono figli dei passi, costruiti dallo sfregamento delle scarpe sull’erba, sulla ghiaia, sulla terra, piede dopo piede come nell’opera A Line Made by Walking di Richard Long del 1967. I passi sono dunque l’unità minima del camminare inteso come esperienza corporea ma anche come pratica fisica trasformativa.

Venezia è un luogo camminato, dove quasi solamente i piedi solcano il suolo con rituale regolarità. Il suolo di Venezia, luogo multiplo e ricco, porta i minuti e talvolta indistinguibili segni dei passi di tutti i giorni, una ritmica azione meccanica che trasforma impercettibilmente ma instancabilmente le pietre, la terra, i mattoni, la sabbia e l’erba di Venezia.

Questi segni quotidiani sono tuttavia più difficili da riconoscere di quelli che il camminare imprime su una distesa erbosa: sono piccole mancanze sui gradini dei ponti, sono curve impercettibili sulle pietre bianche e aloni lucidi sulle pietre scure, sono graffi e schegge mancanti sulle passerelle in legno, sono piccole voragini o grandi avvallamenti nei mattoni dei cortili, sono lucidi ammorbidimenti dei precisi spigoli dei mosaici delle chiese. Una trasformazione costante che ci ricorda, con sollievo, che Venezia non è e non sarà mai un museo: nessuna teca espositiva, sia essa fisica o metaforica, potrà infatti mai allontanare il contatto fisico tra persone e oggetti finché il suolo sarà accarezzato anche da una sola coppia di piedi.

Il suolo costituisce il luogo di inevitabile contatto fisico tra persone e cose e, con fragile precisione, registra instancabilmente le tracce di questo rapporto di mutuo incontro e continua micro trasformazione.

Desideriamo proporre un racconto poetico e fisico di questa quotidiana trasformazione dove chiunque cammina a Venezia, oltre le metafore, è agente trasformatore della città in un rapporto corporeo che vede tanto le suole delle nostre scarpe quanto la città consumarsi in un amorevole e quotidiano scambio.

Vogliamo leggere la città come un grande manufatto che tiene traccia dei percorsi delle persone, dove camminare viene letto come esperienza corporea personale e al tempo stesso come pratica fisica di trasformazione dell’architettura e delle cose della città.

Alla ricerca del modo migliore per raccontare questa continua riscrittura della città, con attenzione e cura verso ciò che c’è e ciò che non c’è più, affronteremo delle piccole e avventurose odissee attraverso la Venezia di oggi e di domani, procedendo rigorosamente passo dopo passo.

Learning from Ljubljana

Cotonificio veneziano – aula D

Antonella Gallo + Claudia Cavallo + Susanna Campeotto
con Matteo Isacco

 

 

Perché un luogo esista e sia riconosciuto deve essere cantato dice Bruce Chatwin nel suo Le vie dei canti. Camminando per Lubiana, è impossibile non essere sedotti dai “canti” che si alzano dalle sistemazioni urbane realizzate dall’architetto sloveno Jože Plečnik.

Il camminare come piacere e come strumento di conoscenza per la progettazione dello spazio urbano era noto a Plečnik. Instancabile camminatore, l’architetto che ha trasformato Lubiana in capitale aveva una connessione viscerale e diretta con la città che progettava e sapeva bene come Eliot che «è il viaggio, non la meta, ciò che conta». Anche da qui, probabilmente, deriva una certa sua attitudine a interpretare la costruzione di una strada, una via, un ponte, come una opportunità per reinventare la città, le sue relazioni, la sua storia, e con essa la vita di chi la vive quotidianamente.  La narrazione è l’essenza dell’opera di Plečnik. «In Plečnik il rapporto con la funzione non si oppone al soddisfacimento della funzione stessa né al concetto di economia. […] Ciò che rifiuta è la riduzione dell’opera a un semplice sistema di prestazioni, privo di una concezione che la trascenda: ed essa, naturalmente, implica anche la storia». Per lui, un ponte non è solo una soluzione tecnica per attraversare il fiume, così come gli argini o una diga non sono semplici opere di ingegneria, e una strada non è solo un’infrastruttura di collegamento. Nell’architettura di Plečnik non solo l’infrastruttura, ma anche il verde, un marciapiede, un vincolo, insomma tutto quello «che l’urbanistica quantitativa esprime con lo “standard”, diventa favola, poesia».

La sua idea di città come manufatto in costante divenire e mai finita, composta da parti diverse da valorizzare e interpretare, è uno degli aspetti più attuali della sua opera, così come la sua straordinaria capacità di ‘inventare’ opportunità, di non sprecare nulla in obbedienza a un principio del «fare il luogo» che in lui rappresenta «l’estensione allo spazio urbano del principio abitativo». Nelle sue ‘rigenerazioni urbane’ le nozioni di ‘ambiente’, ‘luogo’, ‘scala’, mantengono tutta la loro complessità, orientate come sono a disvelare le potenzialità del luogo di trasmettere e accogliere ‘racconti’, potenzialità che vanno inventate, cercate a partire da una ‘presa di coscienza individuale’ che si fa carico di dare espressione a un ‘immaginario collettivo’.

Plečnik era noto per dire ai suoi studenti: «Nessun compito, anche il più piccolo, dovrebbe essere indegno dell’amore dell’architetto». I suoi progetti per la passeggiata lungo il fiume di Lubiana, così come i ponti, le piazze, le pavimentazioni, i balconi, le balaustre, i piccoli chioschi e persino i lampioni, sono prove evidenti di questo principio.

L’opera di Jože Plečnik a Lubiana proprio in rapporto al tema generale proposto da Wave 2024, rappresenta una lezione di architettura ricca di suggerimenti operativi e, per molti versi, estremamente contemporanea. Per questo, per comprendere meglio come Plečnik abbia costruito i luoghi di questa città, durante il seminario intensivo ci dedicheremo a esplorare Lubiana per approfondire i principi architettonici e urbani da lui applicati nella progettazione della capitale slovena, analizzando e interpretando con disegni e modelli alcune delle sue molte, significative, opere.

 

Bibliografia
Boris Podrecca, Jože Plečnik, in «Casabella», n. 476-477, Milano 1982, pp. 96-103.
Luciano Semerani, “Il futuro del mito”, in L’Esperienza del Simbolo, Napoli 2007, pp. 25-30.
Luciano Semerani, “La costruzione del desiderio”, in Incontri e Lezioni. Attrazione e contrasto tra le forme, Napoli 2013, pp. 88-98.

Cota Zero. Una sensibilità necessaria per camminare sul bordo

Cotonificio veneziano – aula L1

da Paucke, Florian “Hacia allá y para acá”. – 1a ed. – Biblioteca del Convento Cisterciense de Zwettl (Austria). Santa Fe: Ministerio de Innovación y Cultura de la Provincia de Santa Fe; 2010

José Paulo Gouvêa + Javier Mendiondo
con Davide Bergo, Anna Ghiraldini, Tommaso Spagnolli

 

 

Gli indiani saltano da un albero in acqua e si cercano sott’acqua.
(Florian Paucke, Hacia allá y para acá, 2010)

 

In Tristes trópicos, Claude Lévi-Strauss scrive che nell’America abitata che incontrò nel suo viaggio del 1935 c’era una dialettica tra due dimensioni della natura: una spietatamente sottomessa e un’altra che, attraverso una convivenza sfidante, diventava lentamente e incessantemente una categoria di paesaggio “non selvaggio, ma fuori posto”. Descrive come a São Paulo due piccoli fiumi, l’Anhangabaú e il Tamanduateí, formano il Tietê, che dopo un lungo percorso sfocia in mare, attraversando il bacino del Paraná in Argentina.

Questa potente capacità dell’acqua di collegare, sfidando i limiti, emerge nella nostra contemporaneità come un oggetto di studio che dobbiamo indagare e progettare. In questi margini e limiti dei territori si intravede uno spazio per dare vita all’invenzione e alla creatività. Paulo Mendes da Rocha ha affermato che “L’acqua non ha confini: non dimensionarla nell’occupazione del territorio è una questione così americana, una cosa arbitraria da fare. Ora che abbiamo compreso la questione fenomenologica della natura, possiamo dire che questa divisione non ci interessa più. Abbiamo bisogno di condividere progetti per invertire la rotta del disastro che il colonialismo ha impiantato. È una questione molto americana; non come variante, ma mi sembra che sia proprio il fondamento dell’architettura”. Le cronache grafiche di Florian Paucke, un missionario gesuita che nel XVIII secolo registrò il modo di abitare la geografia del bacino del Paraná, producono un impatto riflessivo che dobbiamo saper interpretare. La sfida di queste narrazioni sta nella loro capacità di registrare non solo le componenti fisiche di queste sponde fluviali, ma fondamentalmente il modo di abitarle, il modo di produrre e appropriarsi di questi margini alluvionali. La città, come oggetto di studio e di pianificazione, è solitamente subordinata allo sguardo fugace della grande scala. Ma l’esperienza umana – a piedi – è relegata e poco esplorata come spazio per pensare e immaginare un nuovo modo di abitarla.

L’idea di guardare i bordi delle città mentre li percorriamo ci permette di riscoprire paesaggi vicini a noi, ma invisibili. Un modo per interrogare ciò che è vicino a noi, ma allo stesso tempo difficile da comprendere. Una prospettiva diversa che ci permette di evidenziare aspetti inediti. L’acqua, dall’inizio delle città, ha funzionato come un’infrastruttura che è stata l’asse della crescita sia territoriale che socio-economica dei territori e delle società. I diversi processi politico-economici che si sono succeduti tendevano a sbilanciare questo rapporto, trasformando i nostri fiumi in un limite che favoriva la divisione delle due sponde.

Questa barriera, insieme ad altre grandi infrastrutture, ha frammentato il territorio in centro-periferia o civiltà-barbarie. Questi processi hanno generato la ‘disappropriazione’ sociale dei fiumi e dei torrenti che attraversano le geografie urbane, perdendo la prospettiva dell’acqua come risorsa produttiva, infrastrutturale, paesaggistica, ricreativa ed ecologica, trasformandola in un fulcro di oblio e abbandono.

Progettare in territori ibridi tra terra e acqua è una sfida del nostro tempo e del nostro spazio geografico. Il contesto di appropriazione e di conflitto per il progetto della geografia sudamericana ha trovato nel pedone un’ulteriore opportunità. L’acqua, il paesaggio fluviale e le zone umide sono diventati il materiale stesso del progetto di territorio e architettura.

 

Bibliografia
Levi Strauss, C. 1955. Tristes Tropiques. Paris : Librarie Plon.
Mendes da Rocha, P. “Conferenza nell’auditorium della UNL”. In Revista Polis, 13, 12. Universidad Nacional del Litoral. Santa Fe (Argentina) 2009

Passeggiare a Villa Adriana, Tivoli

Magazzino 6 – aula 1.1-1.3

Patrizia Montini Zimolo + Camilla Donantoni
con Francesco Chiacchiera

 

 

Non è dimostrabile, eppure io ci credo: nel mondo ci sono luoghi in cui un arrivo o una partenza vengono misteriosamente moltiplicati dai sentimenti di quanti nello stesso luogo sono arrivati o da là ripartiti…
(Cees Nootheboom, Verso Santiago, Feltrinelli, Milano 2005)

 

Punto di partenza della nostra passeggiata è il sito archeologico di Villa Adriana, luogo in cui appaiono in tutta evidenza la sapienza costruttiva, la coerenza dei mezzi, delle tecniche, dei materiali. Sebbene si presenti oggi come “una grande lezione di architettura” all’aria aperta dal patrimonio architettonico unico, sembra tuttavia aver perduto con il passare del tempo un rapporto col paesaggio e l’ambiente circostante. La grande tradizione delle Ville di Tivoli è in questo senso il riferimento più̀ esplicito e diretto. Le esperienze di Villa Gregoriana, di Villa D’Este e della stessa Villa Adriana mostrano l’attualità di un modo unico di concepire l’architettura e la scenografia del paesaggio, sia esso naturale o artificializzato. La creazione di una passeggiata archeologica non può poi dimenticare che tutta la Villa è suolo, che il disegno dei nuovi percorsi segnano un movimento nello spazio e nel tempo, lungo i quali emergono il labirinto della memoria, l’intreccio di colori di parole e di storie.

Un passo alla volta, tra le rovine e gli spazi esistenti lungo il perimetro della Villa nascono differenti percorsi per rinnovare lo spettacolo dell’architettura e dall’archeologia, del verde e dell’acqua uniti in una stretta relazione di complementarietà̀ che non solo ha dato origine ad alcuni dei più̀ importanti episodi architettonici che compongono il sito – la Piazza d’Oro, il Teatro Marittimo, Il Canopo, il Pecile e le Grandi e Piccole Terme – ma che è alla base stessa della scelta del costruire. L’obbiettivo di una maggiore protezione della villa nel rapporto con il suo territorio, il fiume Aniene, gli Horti adrianei, ci spinge a ripensare la riorganizzazione del sistema degli accessi, dei percorsi, di nuovi parterres e di terrazzamenti.

La necessità di far rivivere la Villa al di là del breve tempo di una visita turistica porta poi a misurarsi con l’utilizzo di alcune rovine/architetture che fanno parte del sito archeologico, come il Teatro greco, il Tempio di Venere, il Pretorio, le Cento Camerelle, sviluppando un insieme di nuovi spazi di sosta e di incontro, per la cultura e il tempo libero, recuperati in vicinanza delle rovine esistenti. Nuovi punti di interesse, piccole architetture, che incorporano il territorio che li circonda e si fanno incorporare da esso: promenade, mirador, rampe, ma anche teatri all’aperto, stanze, patii, vasche d’acqua, percorsi che portano dentro e fuori la villa. Piccole architetture dicevamo, nella logica del frammento come approccio progettuale imperativo, la dicotomia grande/piccolo sposta il dibattito sulle modalità del rapporto antico/nuovo.

Il primo requisito richiesto alle figure di progetto è di tenere insieme il vecchio e il nuovo, vale a dire di conservare innovando, sperimentando la necessità di una profonda saldatura fra scala architettonica, paesaggistica: nessun intervento, nessuna architettura ha senso del paesaggio naturale o artificiale che sia, se non dialoga con quanto preesiste e con quanto vi sarà. Un’analisi del luogo artificiale non può essere in questo caso che un tutt’uno col suo rapporto con l’ambiente naturale come elemento caratterizzante il costruito e i suoi spazi, come materiale immateriale ed evocato.

Si prevede una visita a Villa Adriana il weekend 5-7 luglio, per preparazione materiali mostra.

Motion, Émotions* Promenades architecturales del Moderno nella Scuola Grande della Misericordia. Una mostra-percorso

(* Jacques Gubler 2003, 2014)

Magazzino 6 – aula 2.2

Franco Albini, Franca Helg, Grandi magazzini La Rinascente, Roma 1957-61. Università Iuav di Venezia – Archivio Progetti, Fondo Giorgio Casali

Guido Morpurgo + Enrico Miglietta

 

 

Sogno e mito sono nell’esperienza del progetto moderno legati alla nuova concezione delle passeggiate di percezione, itinerari nell’ambiente costruito che caratterizzano le architetture-manifesto ideate dai Maestri. Rampe, scale e passerelle sospese sono eventi plastici che rimisurano gli spazi abitabili e plasmano l’esperienza emozionale dell’attraversamento architettonico mediante nuovi modelli insediativi: dalle machines à habiter dimostrativamente innestate nel corpo urbano, alle bianche conchiglie razionaliste, visioni di spazialità alternative alla città storica.

Le promenades architecturales di Le Corbusier sezionano i suoi edifici offrendo percezioni di inedite dimensioni dell’abitare, attraverso l’incedere nello spazio-tempo della modernità; la smaterializzazione della scala della Maison de Verre di Chareau sottende una diversa profondità dell’interno domestico; le aeree passerelle della Casa Rustici di Terragni sublimano il telaio razionalista in immagini sospese; le scale ottagonali ed ellittiche di Albini spostano la percezione dello spazio architettonico in una dimensione priva di gravità; l’ineffabile scala di Kahn – esito dell’incontro tra cerchio e triangolo – ricongiunge forma, struttura e spazio agli archetipi.

La relazione tra forma e vertigine propria della spazialità del moderno rappresenta pertanto la quintessenza dell’architettura del Novecento: misurare lo spazio abitabile attraverso principi nuovi che riconfigurano l’esperienza dell’architettura nella dimensione emozionale del movimento.

 

Nonostante Venezia coincida con l’immagine della città antica, il principio della passeggiata di percezione è intimamente legato alla sua stessa forma, contesa tra costanza e mutamento.

Il paradosso di Venezia come “città della nuova modernità” in realtà trova corrispondenza nelle sperimentazioni degli architetti che hanno interpretato la sua essenza di immane promenade architecturale per elaborare progetti inediti. Come l’ospedale immaginato da Le Corbusier, edificio-tessuto basato sul principio di reciprocità tra calli e campi. Così come l’edificio a ponte – architettura-percorso per antonomasia – progettato da Kahn per un Palazzo dei Congressi all’Arsenale è la forma interpretativa del principio connettivo veneziano. Gli spazi interni/esterni della Querini Stampalia di Scarpa rielaborano come sequenza di frammenti le sorprese e le discontinuità che Venezia sempre offre a chi la percorre.

I modelli del moderno possono essere quindi riletti grazie al confronto con un grande spazio-percorso rinascimentale veneziano, attraverso un esercizio progettuale ‘a scala reale’ di particolare significato e utilità.

 

Obiettivi didattici

Il workshop propone di progettare una mostra che interpreti la paradossale modernità di Venezia – idealmente riassunta nella spazialità interna della Scuola Grande della Misericordia di Sansovino – attraverso l’esposizione dei modelli e dei disegni delle architetture-manifesto del moderno e delle declinazioni contemporanee delle walkable architectures.

L’allestimento sarà rappresentato con un modello generale, varianti e dettagli a scale prossime alla realtà dimensionale e costruttiva di un’architettura del porgere. L’esercizio si propone quindi agli studenti con connotati realistici, grazie al dialogo con un edificio storico di particolare rilevanza.

L’esposizione finale del lavoro sarà essa stessa una ‘mostra della mostra’.

 

Articolazione del workshop

Il laboratorio – che comprende un sopralluogo nella Scuola Grande della Misericordia e una conferenza del prof. Jacques Gubler sul tema Motion, Émotions – consta di 3 fasi:
I settimana • La forma del porgere: conoscere, progettare, rappresentare
II settimana • Strategie del dettaglio: la parte per il tutto
III settimana • La mostra della mostra: montaggio

 

Elaborati attesi
• modello generale sezionato dell’allestimento, 1:20
• modelli di studio di varianti, 1:20
• modelli di dettagli, 1:10
• progetto e realizzazione dell’allestimento della mostra finale

Andar andando: un proyecto peregrino / Camminare a piedi: un progetto di pellegrinaggio

Cotonificio veneziano – aula L2

Travesía Salar de Coipasa, 1987 © Archivo Histórico José Vial

e[ad] Escuela de Arquitectura y Diseño, Pontificia Universidad Católica de Valparaíso
/ Rodrigo Saavedra + Iván Ivelic + Anna Braghini + Manuel Sanfuentes

 

 

el camino no es el camino
(Amereida)

 

Quando ci riferiamo all’azione del camminare possiamo pensare allo spostamento, al viaggio e alle biforcazioni, e anche nel senso più errante e vagabondo, possiamo percepire una posizione in transito e mutevole… senza un piano d’appoggio. A partire da questa considerazione, proponiamo affrontare il problema architettonico del luogo nella sua variante utopica, che dà origine a un modo di concepire l’abitare nella sua condizione poetica.

Nell’ambito della Scuola di Valparaíso, di Amereida e della Città Aperta, il luogo diventa uno spazio senza proprietà e in base del principio di ospitalità l’abitante si trasforma in un ospite.

È così che il camminare, e in particolare il pellegrinaggio e le sue tappe o stazioni, ampliano lo sguardo sul territorio, che nel nostro caso coincide con il continente americano, che possiamo concepire come un’ estensione orientata che ha un suo nord nel sud del mondo.

Con queste premesse, il workshop propone progettare uno spazio architettonico per l’atto di “andare in movimento” e di esplorare nuovi modi di abitare il muoversi per trovare nuove forme che diano origine a questo atto.

L’esplorazione architettonica si svolgerà in un processo creativo che andrà dall’osservazione alla creazione forma. Questo processo sarà organizzato temporalmente in tre momenti:

Momenti dell’osservazione e della parola

L’osservazione scopre e rivela le qualità di abitare un luogo e si concretizza attraverso disegni e schizzi e annotazioni circa quello che si sta vedendo. Si tratta di un’esperienza con il luogo, e ci porterà a muoverci e soffermarci a disegnare per scoprire, attraverso il corpo, l’atto che si osserva. Questa maniera di contemplare ciò che ci circonda si servirà anche dell’uso della parola e del linguaggio, arrivando a dare un nome a ciò che si osserva. Forse è proprio questo il motivo che ci porta ad ascoltare la poesia, affinché il suo canto possa “darci una rotta”.

 

Momenti dell’esplorazione spaziale

Attraverso la parola scoperta e scritta durante l’osservazione, si realizzeranno dei campi di spazio tridimensionali a differenti scale, per definire la forma dello spazio che dà luogo all’atto o azione. Questo processo permette definire una qualità del luogo che rappresenta una possibilità per l’architettura. In questa tappa si proporranno i luoghi dove poter realizzare gli interventi nel territorio.

 

Momento di progettazione dello spazio e della sua rappresentazione

Una volta definiti i luoghi e gli spazi ci si dedicherà alla loro rappresentazione grafica per mostrare i risultati della relazione tra osservazione-atto-spazio del movimento.

Poesia e architettura saranno le due dimensioni che si esploreranno  per dare forma all’abitare dell’uomo, sia essa una casa o un semplice rifugio per il pellegrino. Tutte le forme nascono dall’osservazione di quello che è davanti a noi, e anche nella relazione tra Europa e America c’è anche un passaggio che è stato percepito da molteplici e anche sconosciuti modi di avvicinarsi ad esso; questo workshop è un altro modo di dare forma a questo modo di muoversi da un luogo all’altro.

Lagoon City Promenade

Cotonificio veneziano – aula M1

Margherita Vanore
con Giacomo Bodo, Leandro Esposito

 

 

La trasformazione dei margini di una infrastruttura viaria in una sequenza di spazi ecosistemici e multifunzionali, che accolgano il camminare e si qualifichino in relazione al paesaggio, costituisce il tema progettuale intorno a cui lavora il workshop Lagoon City Promenade.

La città insulare di Venezia nelle sue diverse parti declina molteplici condizioni e caratteri dello spazio aperto in rapporto alla mobilità pedonale, alle attività collettive, ai valori del paesaggio.

Lì dove si interrompe la qualità urbana della città storica e si innestano dei sistemi infrastrutturali a esclusivo uso dei mezzi di trasporto, si evidenzia anche l’anomalia del camminare.

In particolare il programma del workshop individua il caso studio tra la città d’acqua e la terraferma nel margine sud-ovest del ponte translagunare. Infrastruttura essenziale per Venezia, il ponte della Libertà assicura la necessaria separazione delle diverse modalità di transito: ferrovia, strada carrabile (utilizzata anche dal tram), mentre i percorsi ciclabile e pedonale presentano diverse criticità e limitazioni.

Del resto la storia del ponte ci racconta di progressivi affiancamenti, integrazioni e adattamenti alle necessità tecniche della mobilità veicolare. Il ponte ferroviario, realizzato tra il 1841 e il 1845 su progetto di Tommaso Meduna, venne affiancato dal nuovo ponte stradale, costruito in soli 18 mesi su progetto di Eugenio Miozzi, inaugurato nel 1933. Dopo gli anni settanta del secolo scorso nella sezione ferroviaria furono integrati i nuovi binari che hanno portato a quattro le linee presenti. Il ponte stradale accoglie oggi due carreggiate separate, con due corsie per senso di marcia, in una delle quali corre la linea del tram. Ai lati delle carreggiate si trovano i marciapiedi di servizio e nel fronte sud un forzato raccordo del percorso ciclopedonale verso piazzale Roma.

Nato quindi come infrastruttura ferroviaria e affiancato dall’infrastruttura viaria, il Ponte della Libertà resta difficilmente praticabile come percorso pedonale sia per essere al margine di un canale infrastrutturale, sia per la mancanza di luoghi di sosta intermedi e per le difficili condizioni ambientali. I suoi circa 4 chilometri sull’acqua collegano due aree connotate da raccordi stradali che, opportunamente riqualificate, potrebbero costituire i luoghi di accesso a una promenade distesa tra le due parti della città d’acqua. Quella distanza infatti si presta ad essere percorsa a piedi se ripensata come parco lineare dove la sequenza dei luoghi possa assicurare una valenza urbana nelle condizioni spaziali e ambientali, adeguata alle necessità di servizio alle persone, oltre che di adattamento e resilienza per una parte determinante del paesaggio lagunare.

In questo contesto lo studio progettuale per il fronte sud-ovest del ponte della Libertà, tra piazzale Roma a forte Marghera, mira a definire una proposta di riqualificazione per favorirne la percorribilità pedonale. Promenade, luoghi di sosta, spazi verdi e servizi di supporto alla fruizione del percorso si conformeranno per accogliere il piacere del camminare lungo una riva d’acqua, ma anche una nuova infrastrutturazione del benessere urbano, tesa tra le diverse parti della città lagunare, per ridurne la separatezza e l’alterità, contribuendo alla diminuzione di fattori inquinanti.

Nello specifico il lavoro seguirà tre diverse fasi per:
• descrivere lo stato attuale, le condizioni ambientali e paesaggistiche del ponte;
• formulare un programma multifunzionale in rapporto alle caratteristiche del percorso e al paesaggio lagunare;
• prefigurare strategie di intervento adattivo con soluzioni di massima per il progetto della promenade e dei suoi luoghi.

A Line Made by Walking

Cotonificio veneziano – aula E

weber+winterle (foto Marta Tonelli)

weber+winterle / Lorenzo Weber + Alberto Winterle
con Marco Santoni, Martino Stelzer, Marta Tonelli

 

 

Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi.
(Italo Calvino, Collezione di sabbia, 2023 [1984])

 

Nel 1967 Richard Long realizza l’opera A Line Made by Walking fotografando la traccia impressa su un prato, realizzata dal semplice passaggio di una persona a piedi. Una linea, temporanea ed effimera, che rappresenta il grado zero della trasformazione del paesaggio. Un’azione fisica che modifica un luogo, solamente per un tempo limitato, senza però costruire nulla.

Nel 1984 James Stirling inaugura la nuova Staatsgalerie di Stoccarda, un innovativo progetto pubblico, e allo stesso tempo urbano, dove un percorso pedonale cittadino attraversa lo spazio aperto di un cortile della galleria. La rigida forma circolare della corte intorno a cui è costruito l’edificio, è contaminata dal passaggio di chi attraversa la città, permettendo incroci di funzioni e di sguardi. Un progetto monumentale alla scala urbana dove su layers differenti sono posti percorsi e spazi, chiusi e aperti, che si compenetrano e alimentano a vicenda.

Sono questi due approcci estremi ed opposti, da un lato un’azione spontanea che lascia un segno momentaneo del proprio passaggio, dall’altra un percorso costruito, fisico, che diventa la ragione stessa dello spazio che attraversa. Sono però entrambi progetti, artistici e architettonici, dove è il cammino che dà la misura dello spazio fisico. La dimensione umana diventa la scala di riferimento del percorso, sia esso libero in un territorio incontaminato oppure inserito in un contesto complesso dove può lambire luoghi, costruire relazioni, permettere di scoprire nuove visuali.

Partendo da questi due possibili diversi atteggiamenti immaginiamo un nuovo percorso urbano che lambisce e attraversa l’isola della Giudecca. L’isola contrappone un netto fronte costruito, affacciato sull’omonimo canale verso la città di Venezia, a un fronte in parte sfrangiato e non definito verso la laguna. Se quindi il percorso principale è costituito dallo spazio e dal bordo, tutto percorribile, della fondamenta, sul fronte opposto non vi è una percorrenza che segue l’andamento dell’isola, ma solo un sistema di penetrazione a pettine. Il “retro” della Giudecca costituito da un alternanza di diversi “materiali urbani” offre interessanti opportunità di utilizzo e di interpretazione. La successione di spazi costruiti fatti di abitazioni, magazzini, cantieri nautici, o di spazi aperti a volte curati altre volte incolti, diventa occasione per sperimentare diverse modalità di intervento, dando continuità a mutevoli conformazioni spaziali. Il percorso si potrà estendere anche alle propaggini dell’isola, unendo alla Giudecca l’isola di San Giorgio ad est e Sacca Fisola e Sacca San Biagio ad ovest. Il percorso orizzontale connette luoghi, attraversa edifici, si estende sull’acqua, mentre allo stesso tempo il possibile movimento verticale offre sguardi insoliti, scoprendo o negando la vista della città.

Anche lo spazio dell’aula che ospita l’esercitazione diventa luogo di progetto, come una nuova isola da annettere alla Giudecca, in cui il tema del percorso assume una valenza simbolica ma anche fisica diventando parte dei nuovi cammini inconsueti che attraversano l’architettura ed il paesaggio di Venezia.

Programma

10:00

Tolentini, Chiostro

Welcome, check-in, consegna vademecum e programma, assegnazione aule, identità digitali per accesso a internet

11:00

Tolentini, Aula Magna

Inaugurazione

Saluti

Benno Albrecht (rettore)

Andrea Iorio (coordinatore)

11:30

Lectio magistralis

La città dei 15 minuti

Per una cultura urbana

democratica

Carlos Moreno,

Paris Sorbonne

13:00

Tolentini, Giardino

Light lunch

14:30

Cotonificio veneziano, Magazzino 6

Inizio dei lavori dei singoli atelier

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

18:00

Tolentini, Aula Magna

Vittorio Gregotti Lecture 2024

Architectura est scientia

Massimo Cacciari

Seguirà la cerimonia di assegnazione del Premio di Laurea Magistrale Vittorio e Marina Gregotti

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

17:00

Magazzino 6, aula 2.2

Conferenza

Motion, Émotions

Jacques Gubler

18:00

Magazzini

Wave Talks
con
Architensions / Alessandro Orsini + Nick Roseboro
baukuh / Paolo Carpi + Vittorio Pizzigoni + Andrea Zanderigo
Adam Brinkworth + Sofia Prantera / Aries Arise
franzosomarinelli / Mirko Franzoso + Mauro Marinelli

 

Allestimenti a cura di Laboratorio Quattrozero (Davide Bergo, Caterina Mattiolo, Aureliana Rizzo, Tommaso Spagnolli), Elisa Plank, Benedetta Marinelli, con la supervisione di Giovanni Mucelli, grazie alla gentile collaborazione del Senato degli Studenti Iuav e alla sponsorizzazione per i materiali da parte di Officina Marghera

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

18:00

Magazzini

Wave Talks

con

Marc Barani

Armando Dal Fabbro + Vincenzo d’Abramo + Claretta Mazzonetto

Escuela de Arquitectura y Diseño, Pontificia Universidad Católica de Valparaíso / Rodrigo Saavedra + Iván Ivelic + Anna Braghini + Manuel Sanfuentes

weber+winterle / Lorenzo Weber + Alberto Winterle

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

18:00

Magazzini

Wave Talks

con

Roberta Albiero + Arabella Guidotto

Francesco Careri / Stalker-UniRoma3

Fernanda De Maio + Alessandro De Savi + Vittoria Sarto + Alessia Scudella

 

Presentazione del libro Towards Walkable Architectures, Anteferma Edizioni a cura di Andrea Iorio – Identità visiva Damiano Fraccaro con il sostegno di Fondazione Iuav; Iconografia del camminare. Un itinerario, Giulia Bersani, Ambra Tieghi, Ilaria Visentin, Davide Zaupa.

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

15:00

Cotonificio veneziano, auditorium

Conferenza

Fabio Grilli

18:00

Magazzini

Wave Talks

con

Antonella Gallo + Claudia Cavallo + Susanna Campeotto

José Paulo Gouvêa + Javier Mendiondo

Patrizia Montini Zimolo + Camilla Donantoni

Margherita Vanore

Guido Morpurgo + Enrico Miglietta

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

18:00

Magazzini

Wave Talks

con

Laboratorio Quattrozero

Venice Open Stage con David Angeli

Microclima con Paolo Rosso

Cosmogram con Emanuele Wiltsch Barberi

 

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

Apertura straordinaria della sede fino alle 21:30

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Work in progress

Apertura straordinaria della sede fino alle 22:30

 

A partire da mezzanotte, tutte le aule e gli spazi comuni del Cotonificio veneziano e dei Magazzini saranno riordinati.

Tutti i materiali non segnalati come materiali utili alla mostra saranno smaltiti.

09:30

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Vernissage

Esami

10:00

Cotonificio veneziano, ingresso
Apertura votazioni della giuria di studenti e docenti dei migliori workshop

14:00

Cotonificio veneziano, ingresso

Chiusura votazioni della giuria di studenti e docenti dei migliori workshop

17:00

Magazzini 6-7

Proclamazioni

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Mostra degli esiti finali aperta al pubblico fino alle 19:00

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Mostra degli esiti finali aperta al pubblico fino alle 19:00

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Mostra degli esiti finali aperta al pubblico fino alle 19:00

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Disallestimento della mostra

Gli studenti potranno portare via i propri lavori.

Eventuali materiali rimasti in sede verranno smaltiti

09:00

Cotonificio veneziano + Magazzino 6

Disallestimento della mostra (solo mattino)

Gli studenti potranno portare via i propri lavori.

Eventuali materiali rimasti in sede verranno smaltiti

Premi

Primo Premio della giuria composta da Roberto Cremascoli, Franca Pittaluga e Jorge Vidal

A Line Made by Walking, weber+winterle / Lorenzo Weber + Alberto Winterle [IT] con / with Marco Santoni, Martino Stelzer, Marta Tonelli

 

Secondo Premio della giuria composta da Roberto Cremascoli, Franca Pittaluga e Jorge Vidal

Danze quotidiane / Made by Walking, franzosomarinelli / Mirko Franzoso + Mauro Marinelli [IT] con / with Tiziano Deromedi, Filippo Ferro, Guillermo Sánchez Cárdenas, Kevin Santus

 

Terzo Premio della giuria composta da Roberto Cremascoli, Franca Pittaluga e Jorge Vidal

Learning from Ljubljana, Antonella Gallo + Claudia Cavallo + Susanna Campeotto [IT] con / with Matteo Isacco

 

Menzione della giuria composta da Roberto Cremascoli, Franca Pittaluga e Jorge Vidal

Branded Architectures. A New Retail Landscape, Adam Brinkworth + Sofia Prantera / Aries Arise [UK] con / with Marco Marino, Caterina Mattiolo, Aureliana Rizzo

 

Menzione speciale Espressività dell’allestimento

Cota Zero. Una sensibilità necessaria per camminare sul bordo / A Necessary Sensibility to Walk the Border, José Paulo Gouvêa + Javier Mendiondo [BR-AR] con / with Davide Bergo, Anna Ghiraldini, Tommaso Spagnolli

 

Menzione speciale Interpretazione originale del tema

Danze quotidiane / Made by Walking, franzosomarinelli / Mirko Franzoso + Mauro Marinelli [IT] con / with Tiziano Deromedi, Filippo Ferro, Guillermo Sánchez Cárdenas, Kevin Santus

 

Menzione speciale Nuovi immaginari

Andar andando: un proyecto peregrino / Camminare a piedi: un progetto di pellegrinaggio / Walking on and on: a pilgrim project, WS14_e[ad] Escuela de Arquitectura y Diseño, Pontificia Universidad Católica de Valparaíso / Rodrigo Saavedra + Iván Ivelic + Anna Braghini + Manuel Sanfuentes [CL]

Colophon

Università Iuav di Venezia

Wave 2024

 

Walkable Architectures

 

Workshop di Architettura Venezia
24 giugno – 12 luglio 2024

Cotonificio veneziano, Magazzino 6

 

Coordinamento

Andrea Iorio

 

Comitato scientifico

Benno Albrecht, Piercarlo Romagnoni, Giuseppe D’Acunto, Mauro Marzo, Alberto Bassi, Sara Marini, Sara Di Resta, Angela Vettese, Andrea Iorio

 

Staff

Amerigo Alberto Ambrosi, Federica Barraco, Amina Chouairi, Stefano Dissette, Tuia Giannesini, Francesca Ulivi

 

Staff amministrativo

Lucia Basile, Federico Ferruzzi

Identità visiva

Damiano Fraccaro

 

Web development

Irene Sgarro

 

Collaborazioni

Servizio fotografico e immagini Iuav

Laboratorio strumentale per la didattica Iuav

 

Wave talks, allestimenti

a cura di Laboratorio Quattrozero (Davide Bergo, Caterina Mattiolo, Aureliana Rizzo, Tommaso Spagnolli), Elisa Plank, Benedetta Marinelli, con la supervisione di Giovanni Mucelli, grazie alla gentile collaborazione del Senato degli Studenti Iuav e alla sponsorizzazione per i materiali da parte di Officina Marghera

 

Con il sostegno di

Fondazione Iuav